728 x 90

Senso ed esistenze

Senso ed esistenze
Riflessioni in Gestalt

A Nancy e suo padre

 

L’immaginazione non ha preso il potere (1) un dipinto ad olio su tavola di Franco Mulas appartenente alla serie che, tra il 1968 e il 1969, si ispirarono al maggio francese ed alla contestazione urbana.

La domanda circa il senso della vita o meglio della propria esistenza tende a stare sullo sfondo dell’individuo. Noi tutti siamo impegnati nella routine, nel funzionamento dell’organizzazione delle nostre vite, stretti nella morsa del lavoro, della famiglia, alle prese con gli impegni che riempiono il nostro tempo – quello pieno e quello libero – credendo ingenuamente di poter dominare la vita. La domanda circa il senso o la perdita di senso della nostra vita ci travolge solo quando qualche cosa salta scardinando le nostre certezze, viene a meno ciò che fino ad un attimo prima consideravamo essere ovvio. Così ad esempio una separazione, un lutto, una malattia, la perdita del lavoro, nostra o di un nostro caro, ribaltano e mettono in crisi le certezze nelle quali abbiamo abitato e agito fino ad un attimo prima. L’ambiente ad un tratto irrompe, in modo inatteso. Più gli individui si sono costruiti identità forti, e più sembrano destabilizzarsi di fronte alla crisi. Spesso ho un’immagine quando vivo momenti di crisi personale o condivido quelle raccontate dai clienti che incontro per un percorso di counseling: l’immagine è quella dell’effetto del terremoto su di un palazzo in cemento, che proprio perché rigidamente solido crolla, sembra forte ma non ha la peculiarità di flettersi.

Qual è il senso della mia vita? Che senso ha vivere? Perché è successa proprio a me questa tragedia? Dove ho sbagliato? Perché gli altri non mi capiscono? Puoi dirmi cosa ho? Cosa devo fare adesso? Queste in linea di massima sono le domande dei clienti durante gli incontri di counseling. Domande che scaturiscono da un’esperienza che li mette in crisi, e apre alla problematicità dell’esistenza e del senso della propria vita. E così anch’io nella relazione con loro torno ogni volta, come se fosse la prima a domandarmi circa il senso dell’esistenza.

La domanda sul senso di fatto ci pone sempre nella relazione con l’ambiente, il senso evoca l’gire, ovvero la relazione io – mondo e/o il confine di contatto con l’ambiente.

Nelle mie riflessioni mi rendo conto che in qualche modo ho uno sfondo che mi influenza e di fatto influenza anche il modo in cui lavoro, le pagine di Nietzsche e il “divieni ciò che sei” fanno parte della mia formazione personale e credo abbiano sostenuto e permeato buona parte delle psicologie umanistiche e non solo. Nell’affermazione nietzschiana che ho riportato si gioca tutta quella conflittualità tua natura e cultura, ovvero ciò che il mondo ha fatto di me, attraverso l’educazione, la morale, la storia etc. A tal proposito di veda il testo di Antonio Erbetta Pedagogia e nichilismo. E dunque la domanda sul senso mette in luce in tutta la sua problematicità la questione del soggetto e della sua progettualità esistenziale, non in termini astratti o teorici ma che riguardano il singolo soggetto in carne ed ossa.

Per alleggerire la scrittura riporto un piccolo esempio, durante un gruppo di formazione, quando ero ancora allieva della Scuola Gestalt di Torino, Hilda  formatrice del corso, mi disse che all’età di cinquant’anni e già numerosi lavori personali alle spalle, seduta al tavolo di un ristorante si accorse che desiderava ordinare un dolce, ma si era impedita di farlo perché non aveva ancora concluso la sua portata. Con questo aneddoto compresi cosa fosse un introietto, una regola in sostanza, una sorta di divieto antico nella sua storia. Ora se prendiamo questo piccolo esempio e lo riportiamo ai grandi temi della nostra vita possiamo comprendere la portata del discorso nietzschiano e di buona parte del lavoro della terapia della Gestalt.

E’ chiaro che la società si modifica, la morale e l’educazione dipendono dai contesti di riferimento, e la straordinaria opera di Nietzsche evidenzia il fallimento del mondo apollineo, della civiltà intesa come civiltà europea che segna con l’espressione “Dio è morto” la fine delle certezze che hanno orientato gli uomini per millenni. Solo chi ha preso coscienza e accetta che non esistono più menzogne rassicuranti, infatti, può riuscire a rapportarsi genuinamente alla realtà e progettare la sua esistenza in modo libero o almeno senza costruzione metafisiche. E dunque almeno buona parte del discorso di Nietzsche vuole celebrare la vita e la sua accettazione più totale e completa, a partire proprio dalla dimensione tragica della stessa. Davanti alla crudeltà, alla sofferenza, all’incertezza dell’esistenza Nietzsche decide di essere un discepolo di Dioniso, il dio dell’ebrezza che incarna le passioni del mondo e che si contrappone ad Apollo, dio dell’ordine e della razionalità. A questo punto urge fare un collegamento con il concetto di autoregolazione che utilizziamo in Gestalt. Secondo Perls la terapia gestaltica è una filosofia che cerca di essere in armonia con tutto quel che  c’è: “ Essa trova appoggio sulla propria formazione, dato che la formazione di gestalt, l’emergere dei bisogni, è un fenomeno biologico primario” p.24, dunque secondo Perls vi è nell’organismo una saggezza di cui ci si può fidare, significa assecondare la vita, il desiderio, avere il coraggio di entrare nel caos, di rompere gli schemi, di mettere in discussione le aspettative proprie e altrui, di stare con ciò che c’è senza la frustrazione di voler dominare a tutti i costi gli eventi. Al contrario ogni manipolazione o controllo esterno o interiorizzato del “tu dovresti” interferisce con il processo sano dell’organismo. Riprendendo l’autore: “Se voi capite la situazione in cui vi trovate, e lasciate che a controllare le vostre azioni sia la situazione in cui vi trovate, avete imparato ad affrontare la vita (…) Non si guida la macchina secondo un programma tipo: ‘Voglio andare a cento all’ora’. Si guida a seconda della situazione” Perls pag. 27

Riprendendo le fila del discorso, che è abbastanza complesso e che tende per la sua portata a sfuggirmi continuamente e vivacemente dalle mani, vi sono due elementi il soggetto e l’ambiente (ove per ambiente s’intende gli altri individui, i luoghi, le situazioni, i saperi, le realtà materiali e non).  Come accennavo nella prima parte del presente scritto, la domanda sul senso di fatto ci pone sempre nella relazione con l’ambiente, il senso evoca l’gire, ovvero la relazione io – mondo e/o il confine di contatto con l’ambiente: “Ne segue che il confine dell’io non è qualche cosa di fisso. Se è fisso, allora anche in questo caso diviene carattere, o una corazza come quella della tartaruga. Sotto questo punto di vista la tartaruga possiede un confine rigidissimo. La nostra pelle è un po’ meno rigida, e poi respira, tocca e così via. Il confine dell’io è un fenomeno molto strano. In linea di massima, definiamo confine dell’io la differenziazione tra sé e alterità, e in terapia gestaltica scriviamo “sé” con la esse minuscola. (…) La parola “sé” non significa nulla se non ciò che resta definito nell’alterità.” Perls pagg. 15 – 16

Orbene secondo il lavoro che sosteniamo in Gestalt, i due fenomeni del confine dell’io sono l’identificazione e l’alienazione; Perls a tal riguardo pone esempi molto interessanti: “Se mi identifico, diciamo con la mia professione, allora questa identificazione può farsi tanto forte che se ad un certo punto la mia professione mi viene tolta ho la sensazione di non esistere più, così che tanto varrebbe suicidarmi”. Questo esempio che riporta in un testo della fine degli anni sessanta, è attualissimo. Molte persone con la crisi del lavoro dell’ultimo decennio si sono trovate a vivere esperienze analoghe. La crisi del lavoro ha fatto irruzione nella società, ha travolto l’esistenza e i “destini” di molti individui rompendo gli argini di quei confini ritenuti socialmente ovvi, che tutto sommato garantivano un lavoro o almeno la possibilità di lavorare. Con questo esempio emerge un altro aspetto, ovvero che esiste “sempre un senso pubblico condiviso” Papi pag.17, esplicito o implicito che sia, e per quanto riguarda il senso esplicito non posso fare a meno di pensare alla Costituzione Italiana, art. 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. etc.” E dunque nella costruzione della dimensione di senso dell’individuo vi è una forte e imprescindibile componente culturale; potremmo aggiungere ulteriori esempi come quelli popolari: “E’ il padre di famiglia che porta il pane a casa”. Ecco allora che, nel momento in cui il lavoro viene a meno subentra la perdita di senso; penso ad alcuni padri di famiglia che in questi anni ho incontrato dopo che hanno perso il lavoro, si sono sentiti sottratti della loro dignità, e in alcuni casi hanno iniziato a pensare di non valere più nulla o di aver fatto delle scelte sbagliate, come se il proprio destino dipendesse unicamente dalle scelte dell’individuo. E personalmente non affido il destino neppure a forze spirituali. A tal proposito mi piace riportare un’espressione del filosofo Fulvio Papi: “La via di Damasco o è un grande privilegio o una metafora che ha la sua parte di menzogna”.

Bibliografia

  • Erbetta A., Pedagogia e nichilismo. Cinque capitoli di filosofia dell’educazione. Editrice Tirrenia Stampatori. Torino, 2007
  • Naranjo C., La Gestalt come un esistenzialismo dionisiaco. Conferenza, Madrid, 8 ottobre 1996
  • Nietzsche F., Così parlò Zaratthustra. Traduttore Montinari M. Adelphi editore. Milano, 1986
  • Papi F., in: Paideutika. Quaderni di formazione e cultura. n. 21 – Anno XI – 2015. Ibis edizioni
  • Perls F. S., La terapia Gestaltica. Parola per parola. Casa Editrice Astrolabio. Roma, 1980
  • Perls F., Hefferline R. F., Goodman P., Teoria e Pratica della Terapia della Gestalt. Casa Editrice Astrolabio. Roma, 1997

Ti potrebbe interessare anche...

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked with *

32 Comments