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Stare nel conflitto

Stare nel conflitto
La relazione come il luogo del possibile

L’articolo offre uno spunto per affrontare il tema del conflitto in Gestalt. L’esperienza del conflitto viene riletta in termini di confine di contatto tra organismo e ambiente in una prospettiva di campo. Il punto di partenza è la seduta tra Fritz Perls e Gloria, l’autrice mette in luce come il terapeuta sia disponibile a stare nel conflitto relazionale che la paziente vive con lui. Seguono alcune riflessioni circa la possibilità e/o l’efficacia di lavorare in seduta oggigiorno come faceva Perls. A tal fine si amplia il discorso al fine di far emergere come lo stesso concetto di conflitto abbia assunto significati culturali differenti.

 This article explores the concept of conflict in Gestalt.  I translate the experience of being in a conflict in terms of contact boundaries between organism and environment, and in field dynamics.The starting point is the session of Fritz Perls and Gloria. The author underlines how the therapist is able to stayin the relational conflict that the patient is living with him. Follow some reflections on the possibility and/or efficacy of working today as Perls did. To do so I take into account how the term conflict has developed new culturally shared meanings.

 

Se non l’avessero già scoperto i Cinesi che
la saggezza è l’assenza di ideali,
l’avrei scoperto io questa notte
Anais Nin, Diario

 

L’intenzione che anima il presente articolo è di esplorare il tema del conflitto in Gestalt, nel farlo non mi appoggerò alla distinzione più ‘classica’ della psicologia tra conflitto intrapsichico, interpersonale o esterno (sociale), ma cercherò di porre la questione in termini di confine di contatto tra l’organismo e l’ambiente. Ovvero una riflessione che consideri il punto di vista del soggetto, in una continua ed inevitabile relazione di scambio e d’influenza reciproca, con il contesto storico-sociale, in un’ottica di campo [1].

A tal fine rileggerò la seduta tra Fritz Perls e Gloria da questa prospettiva, in quanto credo che rappresenti una buona sintesi del lavoro gestaltico anche per il counseling.

Ciò che mi ha colpito fin dalla prima volta che ho visto il video, tra l’altro in compagnia di colleghi, fu la disponibilità di Perls a stare e a sostenere il conflitto di Gloria con Gloria stessa nel qui ed ora. In quell’occasione non trovai le parole per condividere in modo chiaro le mie impressioni, nel frattempo la discussione si focalizzò sul tema dell’accoglienza e della frustrazione e sul fatto che, il modo di lavorare di Perls secondo alcuni, fosse improponibile oggi, visto il differente contesto storico – sociale. Fu solo qualche settimana dopo, durante un gruppo di formazione al quale partecipavo, che all’improvviso iniziai ad aver più chiaro il significato che per me aveva la seduta in questione: essa si focalizzava appunto sull’esperienza del conflitto. Nell’intervista che precede la seduta, Perls sottolinea come l’uomo moderno ha alienato buona parte del suo potenziale e che il lavoro della terapia della Gestalt, nella “sicura emergenza della situazione terapeutica” è il luogo in cui il soggetto può recuperare il suo potenziale perduto e integrare le sue polarità in conflitto. Nella seduta con Gloria assume un atteggiamento confrontante, ossia rimanda alla paziente i suoi comportamenti non-verbali che non corrispondono al verbale: in tal modo emerge la figura rilevante, in quanto la comunicazione non verbale è meno soggetta al controllo (o come afferma il terapeuta all’auto-inganno) dell’individuo. Nel qui ed ora della seduta si genera una situazione conflittuale in cui emergono con tutta la loro forza le polarità di Gloria “…essere lontana nell’angolo, in attesa di essere salvata  o tanto vicina da fondersi con l’altra persona”, le proiezioni che mette in atto e i modi in cui Gloria evita “un incontro genuino”, ossia il contatto con il terapeuta.

Liz Taylor e Richard Burton si sposarono per la prima volta il 15 marzo 1964, un’unione tormentata, la coppia era una delle vittime predilette della stampa rosa che il 26 giugno 1974 divorziò su richiesta di Liz. I due non si rassegnarono a questo divorzio e si sposarono nuovamente in Botswana il 10 ottobre 1975, ma anche questa volta qualcosa non funzionò, il divorzio definitivo avvenne il 1º agosto 1976.
Liz Taylor e Richard Burton si sposarono per la prima volta il 15 marzo 1964, un’unione tormentata, la coppia era una delle vittime predilette della stampa rosa che il 26 giugno 1974 divorziò su richiesta di Liz. I due non si rassegnarono a questo divorzio e si sposarono nuovamente in Botswana il 10 ottobre 1975, ma anche questa volta qualcosa non funzionò, il divorzio definitivo avvenne il 1º agosto 1976.

Il sostegno di Perls durante il colloquio si può leggere nell’intenzione del terapeuta a sostenere la paziente a non proteggere lo sfondo[2], ovvero il senso di sicurezza e le abitudini passate:

-P: Ma ora lei è una bambina?

-G: Beh no, però la sensazione è la stessa!

-P: E’ una bambina?

-G: Questa sensazione me lo ricorda!

-P: E’ una bambina?

-G: No. Nooo. No!

-P: Finalmente! Quanti anni ha?

-G: Ho trent’anni…

-P: Quindi non è una bambina!

-G: No!

-P: Quindi lei è una donna di trent’anni che si spaventa con un tipo come me!

-G: Non saprei. Beh sì, sì ho paura di lei, certo mi sento sulla difensiva con lei.

Dunque il terapeuta invita Gloria a trarre energia dallo sfondo, smascherando le contraddizioni che lei porta e proponendole di rischiare qualche cosa di nuovo: ad esempio, il lavoro sulle proiezioni. Perls chiede alla paziente di dire cosa direbbe lui:

-G: … ho la sensazione di non esserle piaciuta fin dall’inizio e voglio sapere cosa fare!

-P: Può ora interpretare Fritz Perls a cui non piace Gloria? Che cosa direbbe?

-G: Per incominciare direbbe che è una falsa

-P: Dica: “Tu sei una falsa!”

-G: “Tu sei una falsa e una bambina piccola e … volubile, che vuole attirare l’attenzione su di sé

-P: E Gloria cosa direbbe in risposta a questo?

-G: Io so che cosa direbbe, direbbe: “Io penso che anche lei è un falso”

-P: Allora quindi me lo dica lei stessa, mi dica quanto sono falso. Dica: “Fritz, lei è un falso”

Le continue proiezioni di Gloria mostrano in tutta evidenza come – in modo inconsapevole – lei cerchi di liberarsi di un conflitto. Questo movimento viene definito come il vantaggio della proiezione [3] che consiste appunto nel fatto che ci si libera definitivamente, almeno in apparenza, di un conflitto penoso.

Richard Burton ha sempre avuto un posto speciale nel cuore di Liz Taylor, nonostante i sette mariti complessivi, ed i due dopo Burton (John Warner 76-82 e Larry Fortensky 91-96) al momento della morte, il 23 marzo 2011, si è saputo che Liz ha chiesto di riposare accanto al suo vero grande amore, Richard Burton. Di nuovo insieme, stavolta per sempre.

In che modo e a quale scopo sostenere il lavoro sul conflitto?

I conflitti ‘interni’ in particolare hanno una forte carica di energia e sono pieni di interesse e costituiscono quindi i mezzi della crescita; il compito della psicoterapia è quello di renderli consapevoli in modo tale che essi possano alimentarsi col nuovo materiale ambientale e giungere a una crisi. (…) Il conflitto costituisce una collaborazione che va al di là di quel che è inteso, verso una figura completamente nuova.” (F. Perls – R. F. Hefferline – P. Goodman, 1994, pp. 165-166, trad. it. 1997).

In Teoria e Pratica della Terapia della Gestalt, gli autori definiscono la nevrosi come la pacificazione prematura del conflitto o ancora la nevrosi come il trionfo sul sé. È interessante notare come nella prima definizione l’individuo si è rassegnato[4], identificandosi e introiettando un altro sé, ossia quello della persona che ha reso il conflitto (per il bambino) insopportabile e, di solito, è una persona temuta e amata. E in questo caso prevale nell’individuo l’insensibilità della rassegnazione al posto dell’eccitazione del conflitto, dunque il conflitto rimane incompiuto e, come scrivono gli autori, “… si manifesta sotto forma di bisogno di vittoria in piccole battaglie (…) e ad un aggrapparsi alla sicurezza invece di avere fede.” E dunque l’interruzione prematura del conflitto, a causa della disperazione, della paura di perdere o dell’evitare la sofferenza, che inibisce la creatività del sé, la sua capacità di assimilare il conflitto e trasformarlo in qualche cosa di nuovo, di non ancora conosciuto. Nella seconda definizione invece, la nevrosi come trionfo sul sé, gli autori la riportano come “Socialmente il trionfo sul sé viene stimato come ‘carattere’. Un uomo di carattere non cede alla ‘debolezza’ (questa ‘debolezza’ è in realtà l’eros spontaneo che opera ogni creazione). Egli può schierare ai suoi ordini l’aggressività in modo da assicurare il successo dei suoi ‘ideali’ (gli ideali sono le norme alle quali si è rassegnato). La società antisessuale che basa la sua etica sul carattere (…) attribuisce ogni conquista alla rimozione  e all’autocontrollo.” (F. Perls – R. F. Hefferline – P. Goodman, 1994, pp. 173 -174, tr. it. 1997).

Nel considerare tali riflessioni, sembra che l’esperienza del conflitto per l’essere umano sia inevitabile, in quanto l’uomo è un essere della natura alle prese con la cultura. Qui per cultura si intende il sapere pregresso, il linguaggio, la società, la storia presente e passata degli uomini, gli apprendimenti continui.

Ogni essere umano una volta al mondo si imbatte nell’educazione, nelle regole, in contesti sociali, segni e simboli di significati, condivisi già dati prima di lui. Dunque l’esperienza del conflitto è qualche cosa di costituente, che riguarda il soggetto nella misura delle sue possibilità di divenire e non essere meramente ciò che il “mondo” gli chiede di essere [5].

Stare nel conflitto implicito o esplicito che l’individuo porta in seduta, significa creare le condizioni affinché la persona possa scoprirsi da sola, usare se stessi nella relazione come counselor senza stabilire a priori se essere accoglienti, mediare o interpretare il conflitto che la persona manifesta attraverso una soluzione preconcetta.

Di contro non attraversare il conflitto nella relazione può alleggerire il cliente rispetto alla sofferenza e il counselor può mantenere una posizione più “comoda”, ma dall’altro lato il rischio è di sostenere il cliente nella lotta contro il conflitto e a non mettere in atto – con l’aggressività – il processo di distruzione e di assimilazione di quei vissuti, introietti, pregiudizi, progetti, esperienze e sicurezze, che bloccano il suo sistema di autoregolazione.

In altre parole, per crescere occorre assumersi il rischio di confliggere con le polarità opposte e tra polarità opposte e mettere in conto anche la possibilità di subire una perdita.

Si potrebbero a tal riguardo porre numerose domande ed obiezioni, ad esempio: il pericolo del conflitto e della sofferenza legata ad esso potrebbero non solo mandare in crisi la persona, ma destabilizzarla? Un atteggiamento come quello assunto da Perls con Gloria ha ancora senso ai giorni nostri? Vivendo nell’epoca della società liquida, come la definisce Bauman, non si corre il rischio di ‘frantumare’ le persone se si lavora in modo confrontante, sostenendo l’aggressività e la distruzione? Proprio perché i tempi sono cambiati e mancano i riferimenti sociali come il senso di comunità, le strutture famigliari sono cambiate e così anche i rapporti di lavoro e i legami affettivi, non è meglio sostenere di più lo sfondo delle persone che affrontano un percorso di counseling  o di psicoterapia?

Una riposta sicura a queste obiezioni non credo si possa trovare, ma in tal senso diversi autori sostengono come la negazione del conflitto (e quindi anche la rimozione o la paura o il ritiro) siano funzionali al sistema socio – politico (ovvero capitalistico).  Assumendo questa analisi come possibile, allora le obiezioni sopra riportate potrebbero inscriversi a mio avviso in un sistema confluente di interruzione di contatto con l’ambiente. Per esempio, il senso di rassegnazione, che in alcuni casi rasenta la depressione, è un fenomeno abbastanza diffuso, almeno nel nostro paese, e in tal senso le parole di Perls circa le definizioni di nevrosi possono avere ancora una certa corrispondenza. E non è forse questo il momento storico in cui venendo meno le certezze sociali c’è bisogno di creatività? O forse si crede che la creatività, il vuoto fertile siano esperienze separate dal conflitto e dalla sofferenza?

Se – come afferma Revelli – fino a ieri sapevamo benissimo che cosa fosse il conflitto e il suo significato etico, ovvero:

Il conflitto era, in qualche modo, la condizione e la garanzia della nostra eticità. Era il luogo in cui si dava la possibilità del sé – o del noi – come entità autonoma, nell’affermazione della propria libertà (Revelli, 2005, p. 9)

Oggi giorno invece la parola conflitto rinvia ad  una valenza negativa, inteso nel migliore dei casi come sintomo di un disagio e nel peggiore come sinonimo di guerra o comunque di violenza. E la richiesta o l’attenzione degli individui si focalizza a risolvere o mediare i conflitti quando si manifestano, non a caso esistono numerosi metodi di applicazione e risoluzione dei conflitti. In un interessante libro dal titolo Elogio del conflitto, gli autori M. Benasayag e A. Del Rey compiono un’analisi lucida e precisa mettendo in luce come il pensiero moderno abbia considerato il conflitto come una dimensione patologica dell’ordine sociale o come lo strumento temporaneo per rovesciare la società presente con le sue contraddizioni e andare verso una società pacificata. Tra le pagine del testo, ricco di suggestioni e di spunti di riflessione, un breve passaggio è degno di nota:

Ogni cosa è retta dal conflitto, e chi rimuove il conflitto non fa che precipitare il mondo degli uomini e delle donne nel gorgo dell’irreale. Un elogio del conflitto, lungi dal celebrare la necessità dello scontro, afferma il principio stesso della creazione e del nuovo. (Benasayag, Del Rey, 2008, p. 204, trad.it 2008)

E sulla base di questa citazione vorrei tornare alle parole di Perls che con autenticità dice a Gloria di “comportarsi da falsa” e la invita verso quello che per Gloria rimarrà solo un orizzonte, visto che non continuerà la terapia con Perls, un orizzonte di possibilità in cui possa vedersi e trovarsi semplicemente per quello che lei è.

BIBLIOGRAFIA

  • Bauman Z., (2000), Liqui Modernity, Oxford trad. it. Modernità liquida, Laterza, Roma – Bari, 2002.
  • Benasayag M., Del Rey A. (2007), ?loge du conflit, La Découverte (trad. it. Elogio del conflitto, Feltrinelli, Milano, 2008).
  • Dal Lago A., (1994) Il conflitto della modernità. Il pensiero di Georg Simmel, Il Mulino, Bologna.
  • Erbetta A., (1998), Educazione ed esistenza, Il Segnalibro, Torino.
  • Natoli S., (1986), L’esperienza del dolore, Feltrinelli, Milano.
  • Paideutika,(2005), Quaderni di formazione e cultura n.2.,Tirrenia Stampatori, Torino.
  • Perls  F., (1942),  Ego, Hunger and Aggression, trad. it. A cura dell’Istituto di Gestalt – H.C.C., L’io, la Fame, l’Aggressività. L’opera di uno psicoanalista eretico che vide in anticipo i limiti   fondamentali dell’opera di Freud, Milano, FrancoAngeli, 2007.
  • Perls F., R. F. Hefferline, P. Goodman, (1951), Gestalt Therapy. Excitement and growth in the human personaliy, The Julian Press (trad. it. Teoria e Pratica della Gestalt, Astrolabio, Roma, 1997).
  • Spagnuolo Lobb M. (2011), Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna, FrancoAngeli, Milano.

NOTE

[1] Cfr. F. Perls, Ego, Hunger and Aggression, trad. it. A cura dell’Istituto di Gestalt – H.C.C., L’io, la Fame, l’Aggressività. L’opera di uno psicoanalista eretico che vide in anticipo i limiti fondamentali dell’opera di Freud, Milano, FrancoAngeli, 2007, pp. 33 -35: “W. Köhler e M. Wertheimer, che sostennero che c’è prima di tutto una formazione comprensiva – che essi chiamano ‘Gestalt’ (formazione della figura) – e che tutti gli altri pezzi isolati sono formazioni secondarie. Wertheimer formula la teoria della Gestalt in questo modo: ‘Ci sono degli insiemi, il cui comportamento non è determinato da quello dei loro singoli elementi, ma dove i processi delle parti sono determinati dall’intrinseca natura dell’insieme. Lo scopo della teoria della Gestalt è quello di determinare la natura di questi insiemi’. (…) Dimostrerò sulla mia macchina da scrivere due semplici esempi di come ‘cose’ identiche abbiano significati diversi a seconda della Gestalt nella quale appaiono. (…) Nella loro scatola la serie dei pezzi degli scacchi non è molto interessante, dato che consiste in 32 pezzi indipendenti (…) e rappresentano la visione isolazionista, ma nel ‘campo’ della scacchiera rappresentano la concezione ‘olistica’.”

[2] Ovvero a stare con l’ovvio della situazione presente, nella quale possono emergere anche le paure e/o le Gestalt rimaste sospese nella storia di Gloria. Inoltre a tal proposito si veda in Cfr. F. Perls – R. F. Hefferline – P. Goodman, 1994, trad. it. 1997, p. 43: “ Ciò che normalmente definiamo come ‘sicurezza’, altro non è se non un aggrapparsi a qualcosa di non – sentito, un rifiutarsi di accettare il rischio di venire a contatto con quell’elemento ignoto implicitamente presente in ogni soddisfazione nuova ed entusiasmante; ciò che ne deriva è una progressiva e corrispondente desensibilizzazione e un’inibizione motoria. La paura dell’aggressività, della distruttività e della perdita, porta il più delle volte a situazioni di aggressività e di distruttività inconsapevoli, rivoltate tanto all’interno quanto all’esterno”.

[3] Cfr. C.G. Jung, Libido, Simboli, e trasformazioni (1911-1952), in C.G. Jung, Opere, Torino, Boringhieri, 1998, vol. V, p.70.

[4] Cfr. F. Perls – R. F. Hefferline – P. Goodman, 1994, tr. it. 1997, p.171

[5] Cfr. Erbetta A., (1998), Educazione ed esistenza, Il Segnalibro, Torino.

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