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Editoriale

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Britons are never more comfortable than when talking about the weather.John Smith, Flickr.

Abbiamo dedicato questo numero alla ricerca di senso pensando alle crisi sociali che si stanno diffondendo intorno a noi (immigrazione, politica, ecologia, ecc) e, nello sforzo di creare un dialogo e delle possibilità di azione, stiamo scoprendo che la ricerca di senso è un tema che ci porta direttamente in quella che per noi è… l’anima della Gestalt.

Durante la formazione dei gruppi e nelle sedute sosteniamo la co-creazione, il saperci mettere in crisi quando ascoltiamo l’altro, allenandoci nella difficile pratica del sospendere il giudizio (epoche’). Vivere il “qui e ora” è un’arte che si impara nel tempo, che coinvolge la sensibilità, il saper leggere e dare parola, la creatività, la capacità di reggere il vuoto. Come professionisti appassionati della Gestalt vogliamo superare l’ottica diffusa della “dominanza”, in cui è l’esperto a guidare e dare senso al percorso. Vogliamo creare e dare senso alle cose, anche al dolore…. Soprattutto ESSERCI ed ESSERCI-CON l’altro proprio quando il senso non c’è….

Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha.  Voglio trovare un senso a questa voglia, anche se questa voglia un senso non ce l’ha. Sai cosa penso, che se non ha un senso, domani arriverà, domani arriverà lo stesso, senti che bel vento, non basta mai il tempo, domani è un altro giorno, arriverà…” (Vasco Rossi).

In Gestalt sosteniamo che il “domani non esiste”, ciò che esiste è il presente ed è solo nel presente quel momento in cui possiamo rischiare qualcosa di nuovo. Ma sappiamo anche nei momenti di smarrimento, lo scorrere del tempo sembra non esistere più, come se il presente potesse rimanere un tempo immobile e immutabile e il futuro scomparire. Sapere che il domani arriva e, magari, potrà portare qualcosa di nuovo vuol dire vivere il presente con un respiro diverso.

Ascoltare l’altro quando il respiro si blocca e “il senso non c’è” ci mette fortemente in crisi. La sofferenza, in termini più ampi, mette in crisi la nostra comunità sociale facendo emergere la sua fragilità. Ci appoggiamo sempre meno sulla cultura umanistica e sul pensiero filosofico, i quali, fin dall’antichità, parlano dell’uomo e dei suoi interrogativi esistenziali. I nuovi sostegni, in particolare quelli tecnologici, presentano molte potenzialità, ma ancora non è chiaro in che modo possono aiutarci a realizzare la nostra “umanità” e a vivere delle vite più “piene”. La “cultura della dominanza” sembra impregnare la nostra epoca: è più importante saper “dominare” noi stessi e le situazioni, piuttosto che ascoltare il disagio e attraversarlo, alla ricerca di direzioni possibili.

Come illustra Mariano Pizzimenti nell’articolo presente in questo numero, il concetto di dominanza è presente negli scritti di Vattimo, Dal Lago e altri filosofi che hanno sviluppato il “pensiero debole” contrapponendolo alla crisi del “pensiero forte”. Andando ancora più indietro lo ritroviamo in Nietzsche quando afferma che “Dio è morto”, intendendo con questo che il pensiero assoluto è finalmente morto.

La cultura della dominanza è quando ci interessa vincere e avere ragione, piuttosto che ascoltare e farci influenzare. Vogliamo essere sempre più forti e finiamo per disprezzare l’insicurezza. Ci dimentichiamo che la forza tende a trasformare gli esseri umani in “oggetti” d’uso. La dominanza è più che mai diffusa e subdola nella nostra comunità professionale e la ritroviamo quando, alla fine di una seduta dimostrativa in un convegno tra colleghi, tendiamo a criticare l’operato del professionista, magari appartenente ad un’altra scuola, piuttosto che notare quello che ha fatto nella seduta, e ciò che ha funzionato.  Vogliamo mostrarci nella nostra bravura e perdiamo la curiosità nei confronti della differenza…

Farci mettere in crisi dall’altro è un modo di pensare e di costruire il proprio incontro con gli altri aprendo, e non chiudendo. La cultura dell’Umanesimo – afferma Roberto Vecchioni – ci ha lasciato in eredità la sicurezza che qualsiasi cosa avvenga, nelle tragedie e nei momenti di sconfitta…  l’uomo è più forte, anche quando perde. Il cantautore, nell’intervista sull’Espresso, fa alcune riflessioni sulla sua vita, segnata da lunghi periodi di rassegnazione: “Il dolore si supera dandogli un senso. Più che l’ottimismo, l’Umanesimo è una visione chiara della vita. L’ottimista pensa che tutto passerà e il dolore non conta. Non è così: il dolore conta, però in questa visione tutto ha una ragione d’essere. Samarcanda è un modello culturale di molte civiltà e insegna che, per quanto uno faccia, arriva la morte e ti chiama. Questa visione si supera considerando tutti gli episodi che vengono prima della morte”. Conclude Vecchioni prendendo spunto da una intuizione di Nelson Mandela: “Nella vita o si vince o si impara, non si perde mai”.

In questo numero troviamo una novità: la rubrica “Con parole mie”, nella quale vogliamo raccontare al pubblico i principali concetti del mondo della psicologia con parole semplici e uno stile colloquiale, inquadrandole nell’ottica della Gestalt. Nella rubrica Pratica e Teoria potrete trovare contributi sul pensiero dominante (Mariano Pizzimenti) e su come i filosofi del sospetto hanno influenzato le psicologie umanistiche (Nicole Bosco). A seguire trovate la traduzione dall’inglese del secondo capitolo del testo di Peter Cole e Daisy Anne Reese “New Directions in Gestalt Group Therapy”: gli autori ci hanno gentilmente offerto la pubblicazione in esclusiva e li ringraziamo. Infine Piergiulio Poli allargherà le sue riflessioni sulla produzione e creazione di senso in gestalt. Nella rubrica Insegnare Gestalt Carla Martinetto,  psichiatra ed ex dirigente dell’ASL di Torino ci parlerà del senso quando si frantuma e di come sostiene i counselor e terapeuti in formazione ad avvicinarsi all’esperienza della psicosi. Iride (Memè Susanna) riprende alcune radici della Gestalt, tra cui il pensiero di Isha Bloomberg, e ci presenterà con vivide suggestioni e immagini la sua lecture presentata al convegno della FISIG (Federazione Italiana Scuole e Istituti di Gestalt) di Catania. In Influenze dall’esterno, troverete un articolo di Elisa Dalmasso, allieva della scuola, sull’etnopsichiatria e un contributo del Dott. Sandro Papale “Attribuzione di senso nella pratica clinica” che traccia un collegamento tra Foulkes e la Gestalt nella suo interessante lavoro. Anche il Focus di Età dello Sviluppo, affronta l’argomento del senso, in relazione ai cambiamenti sociali e all‘adolescenza, con due articoli emblematici, uno di Michela Parmeggiani, professionista e didatta del CSTG (Centro Studi della Terapia della Gestalt), con un sentito e partecipato vissuto sul tema e uno con un denso e ricco approfondimento, in corso di pubblicazione, di Pietro Ferrero, professionista gestaltico con profonde radici etnopsichiatriche, sul fenomeno dell’Hikikomori. Sempre in età dello sviluppo Iride (Memè Susanna) porta l’attenzione al senso di dare spazio ai sensi e alla corporeità, da 0 a 99 anni, per poter crescere e scambiare con pienezza. In Creatività e Gestalt, Mari Accordi condivide, con ironia, alcuni insight emersi dal suo percorso personale con una gestaltista attingendo alla sue capacità creative e Camela Festa pensieri profondi e leggeri, insieme a Brunori Sas. In Radici, sarà presente un vero e proprio reperto della Gestalt, ovvero l’intervista di Minni Mazzucchelli ad Isha Bloomberg, che fu allievo ed ex paziente di Laura e Fritz Perls. In queste parole, Isha ci racconta come l’anima della gestalt è data dalla disponibilità del terapeuta ad entrare in contatto col paziente, abbandonando il controllo e immergendosi nell’ignoto. Ringraziamo Minni Mazzucchelli che ci ha concesso di pubblicare questo lavoro.

Vi auguriamo una buona lettura!

 

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