728 x 90

Quando la paura frammenta il sé. La terapia della gestalt con le esperienze traumatiche

Quando la paura frammenta il sé. La terapia della gestalt con le esperienze traumatiche

Abstract

Questo approfondimento sulle esperienze traumatiche si appoggia sul modello della Terapia della Gestalt, in particolare sulla teoria del Ciclo di Contatto e sulla teoria del Sé, entrambe descritte nel 1951 dagli stessi fondatori nel manuale “Teoria e Pratica della Psicoterapia della Gestalt” e sviluppate poi da autori successivi (Robine, 1995, 2018; Salonia, 2001; Spagnuolo Lobb 2011; Pizzimenti, 2015, 2016, 2022). Vedremo la differenza tra le esperienze di contatto e quelle traumatiche. Infine la specificità  dell’intervento clinico secondo la terapia della Gestalt. 

Il trauma può essere collegato ad un evento singolo, come un incidente stradale, che sia improvviso, intenso e dove la persona non riesce a trovare nell’ambiente e in sé stesso le risorse per affrontare la situazione, né durante e neanche dopo. Oppure può essere collegato alla propria storia famigliare, laddove si presentino esperienze di maltrattamento, abuso emotivo o sessuale, o trascuratezza.

Per la Gestalt, il contatto è alla base della crescita dell’essere umano, oltre che del cambiamento e della cura. È definito come “la consapevolezza della novità assimilabile e di tutte le operazioni necessarie per assimilarla o rifiutarla” (Phg, 1951).

Ecco una prima caratteristica dell’evento traumatico: non è sufficiente la mancanza di sostegno (auto o etero), ma la situazione rende impossibile per l’individuo rifiutare l’esperienza. Il contatto e la formazione di “figure” avviene attraverso “processi di identificazione” ma anche di “alienazione”. Se non posso andarmene e alienarmi dall’ esperienza in corso , la novità rischia di diventare soverchiante. Questo significa che la persona non ha le risorse né per stare, modificando l’ambiente per renderlo assimilabile, né per andarsene.

La sofferenza psicopatologica è il risultato delle esperienze non assimilate che il paziente si porta nel corpo.

Come sostiene Laura Posner Perls (1992), quando la persona ha il sostegno interno e ambientale per attraversare fino in fondo questo ciclo, allora l’esperienza sarà trasformativa. In alcuni casi ci vuole del tempo per destrutturare la novità e rendere l’esperienza as-simil-abile affinchè la persona possa riconoscersi. Le esperienze non assimilate di natura traumatica hanno una caratteristica diversa da quella non traumatica: sono novità non assimilabili che creano un’attivazione psicofisica maggiore (arousal). Qui il “funzionamento corporeo di emergenza” (PHG, 1951; Perls, 2023), come vedremo, prende cioè il sopravvento sulle funzioni dell’Io. È come se l’es portasse avanti un’azione di alienazione dall’esperienza in corso, mentre i processi dell’io sono paralizzati.

Oggi il rischio è che tutta la psicopatologia si riconduca ad una psicotraumatologia (Francesetti, 2020).

Quando i frammenti di esperienze non concluse riemergono nel presente (trigger), il paziente non può essere presente e lucido sul confine, perchè sentirà un disagio che lo porterà a desensibilizzarsi oppure ricadrà nella memoria del passato perdendo il contesto attuale. La sensazione corporea può essere di immobilità, confusione, reattività/rabbia. Il paziente non trova nel suo sfondo alcun sostegno per orientarsi e agire e prova un vissuto di impotenza. Per questo si dice che un rischio della terapia è quello di ri-traumatizzare il paziente, perché quando riemergono esperienze traumatizzanti, il paziente non è più in grado (a livello di vissuto corporeo) di distinguere il presente dal passato. Le esperienze diventano figure di bassa energia e luminosità.

In termini generali, l’’esperienza, per PHG, si configura come un “lento formarsi della figura su uno sfondo”. In particolare: “l’energia viene liberata per la formazione della figura quando le parti caotiche dell’ambiente incontrano un’eccitazione istintuale, la definiscono e la trasformano e vengono esse stesse distrutte e trasformate” (Perls 1951). Perls sostiene che l’eccitazione crescente è il progressivo lasciarsi alle spalle lo sfondo finchè la figura assorbe tutta l’energia e lo sfondo si svuota. L’esperienza del Sé avviene quando tutta l’energia degli individui singoli viene ceduta alla figura, non c’è più deliberatezza, o controllo, ma piena spontaneità perché si è parte di un flusso che ci muove. Quando il Sé finisce, l’eccitazione diminuisce e gli individui si ritirano in se stessi. Lo sfondo si riempie di un’esperienza nuova che la persona assimilerà.

A livello grafico, la formazione di Gestalt è disegnata come una curva che si sviluppa progressivamente (figura 1) e prevede una sequenza temporale con diverse fasi che formano un ciclo: pre-contatto, contatto, contatto pieno, post-contatto. Infine, ritiro dal contatto.

CURVA SINUSOIDALE DEL CICLO DI CONTATTO tratto dalle lezioni di Carmen Vasquez Bandin

Il trauma, dunque, non è un processo di contatto. È un’esperienza soverchiante in cui non si verifica il contatto e avviene una “rottura del processo figura/sfondo” (2020).

L’andamento dell’esperienza nelle situazioni traumatiche non è più raffigurato da una curva, ma da linee spezzate (Figura 2).

Vediamo cosa cambia nel ciclo di contatto, rispetto alle quattro fasi (pre-contatto, contatto, contatto pieno e post contatto).

Il pre-contatto è la fase in cui i confini si preparano e si influenzano in vista di una situazione che sta per accadere, come può essere una serata in discoteca. Comprende il prepararmi, il tragitto, l’entrata in discoteca, l’incontro con un uomo e la reciproca conoscenza. Può essere un tempo più o meno lungo durante il quale la persona non ha la possibilità di prepararsi all’evento successivo poiché avverrà in modo completamente imprevedibile.

Il momento apice arriva appunto in modo improvviso interrompendo il processo, come potrebbe accadere se l’uomo della discoteca mi aggredisse, tirasse fuori una pistola e cominciasse a sparare nel locale. Ci sarebbe una repentina crescita di intensità collegata ad un’esperienza invasiva e soverchiante.

Nel trauma ci troviamo di fronte ad una novità che da un lato non è assimilabile e, dall’altro, è impossibile da rifiutare. “Non assimilabile” vuol dire che lo sfondo non dà alcun sostegno allo sviluppo della figura. Il vissuto è che non troviamo nessuna risorsa in noi stessi e nell’ambiente per andare avanti e quel che è drammatico è che non possiamo neanche fuggire dalla situazione nociva. Non c’è via di uscita. E’ uno stato di impotenza assoluta.

Mentre in un’esperienza di contatto aggiustiamo e trasformiamo il confine fino ad arrivare al contatto pieno in cui i confini si dissolvono, nell’esperienza traumatica nel momento di massima intensità viviamo un atto di invasione.

Nel contatto pieno non abbiamo più bisogno dei confini e possiamo lasciarci andare alla pienezza. Nel trauma, invece, i confini non ci sono perchè sono stati violati, feriti, distrutti.

Più che una curva, a rappresentare graficamente l’andamento della nostra energia può essere una linea retta bruscamente ascendente. Nel primo caso gli individui dopo il contatto pieno riemergono progressivamente nei loro confini e inizia il processo di assimilazione che li porterà ad uno stato di riposo. Nel trauma non c’è una curva discendente, ma il ritorno ad uno stato di quiete con brusche variazioni (vedi tabella n.2). La persona può essere in uno stato di shock che perdura per tutta la sera, o per giorni, possono esserci amnesie, per cui l’intensità dell’esperienza diminuisce, fino a ritornare ad un apparente stato di quiete. In realtà perdura un sottostante senso di pericolo che alcune persone si portano dietro per anni o per sempre.

Per questo la curva dell’esperienza potrebbe non arrivare mai sull’asse orizzontale che rappresenta il riposo e basta un piccolo stimolo (trigger) per far riemergere il senso del pericolo, nonostante l’evento si sia effettivamente concluso.

Assimilazione dell'esperienza traumatica

Mentre in un’esperienza di contatto definiamo l’apice come il momento di “contatto pieno”, nel trauma non essendoci nessun contatto, chiameremo l’apice come “momento di massima intensità”. Vediamo cosa succede nel corpo.

Già Perls negli anni 50 e 60 descrisse il funzionamento corporeo nelle situazioni traumatiche, ben prima dunque che si sviluppassero gli studi più recenti della psicotraumatologia e della medicina psicosomatica.

In quanto mammiferi, scrive Perls, non siamo geneticamente programmati a tollerare l’impotenza prolungata in situazioni di pericolo ad alta intensità. Pertanto l’organismo mette in atto automaticamente i meccanismi corporei di emergenza che consentono di non soccombere di fronte ad una minaccia di morte. Poichè la funzione Io è bloccata, il funzionamento dell’Es prende il sopravvento e ci troviamo situazioni in cui una vittima di incidente motociclistico aiuta i soccorritori a trovare la sua gamba amputata, o vittime di stupro e violenze che pensano ad altro, ecc.

Il funzionamento corporeo di emergenza risponde in due modalità: sub-normali e super-normali (Phg, 1951). Nel primo caso il corpo anestetizza i recettori e protegge il confine privandolo di sensibilità o paralizzandolo in senso motorio aspettando che l’emergenza passi (es. svenimento, collasso, shock, anestesia). Le risposte super-normali (o super-attive), invece, agiscono sui propriocettori agitando il confine per scaricare la tensione: allucinazione, sogni, pensiero ossessivo, immaginazione vivace, agitazione motoria.

La mente, grazie a queste risposte, esaurisce le energie che non possono essere impiegate in una possibilità di aggressione e trasformazione della situazione. La natura involontaria di queste risposte è particolarmente interessante poiché ha a che vedere con i movimenti viscerali e il sistema nervoso autonomo, studiati dalla medicina psicosomatica e da branche come la psiconeuroimmunologia (Bottaccioli, 2015), oltre che dalla psicotraumatologia di cui Stephen Porges è uno dei più rinomati esponenti (2012).

Citiamo la teoria poligale come esempio di ricerca scientifica che intende illustrare le relazioni bidirezionali tra la psiche e i sistemi biologici che regolano la vita dell’organismo umano. In particolare, Porges descrive il sistema nervoso autonomo come la parte della mente che si attiva nelle emergenze, in particolare attraverso il nervo vago, un canale che comprende molte fibre nervose, che origina dal tronco encefalico e percorre gli organi viscerali. Si suddivide nei suoi due sistemi antagonisti: simpatico e parasimpatico. A seconda di quali sistemi si attivano abbiamo strategie di sopravvivenza molto diverse tra loro, raggruppabili in tre tipi di risposta: ricerca di sostegno ambientale, attacco e fuga, spegnimento (dissociazione, svenimento, ecc).

Queste strategie di sopravvivenza sono a tutti gli effetti “adattamenti creativi”, che si appoggiano alla sola funzione Es. Per questo affermiamo che le situazioni traumatiche hanno alcune caratteristiche in comune con le situazioni psicotiche, poiché l’Io si frammenta. L’io frammentato agisce costruendo figure frammentate. 

La Teoria Polivagale fa riferimento alla “finestra di tolleranza” (Siegel, 1999) e alle risposte del Sistema Nervoso Autonomo quando la persona si “disregola”. Perls già nel 1951 (50 anni prima) aveva parlato del funzionamento del corpo in situazioni di emergenza. All’interno della finestra di tolleranza la mente è lucida e calma, abbiamo accesso al dolore e le risposte agli stimoli sono all’insegna dell’equilibrio emotivo. Sappiamo nominare le emozioni, e agire trovando il sostegno nell’ambiente, cioè le funzioni es, io e personalità sono sul confine. Al contrario, quando c’è un pericolo che l’io non è in grado di affrontare, la mente si disregola e la finestra di tolleranza si restringe; l’arousal è iper o ipo. Perls parlava di  funzionamento corporeo di emergenza  sub-normale o super-normale.

Il processo figura/sfondo delle situazioni di emergenza è caratterizzato dalla crescita di una figura in cui c’è solo funzione es e pochissima funzione io, lo sfondo è vuoto e non sostiene, la figura si esaurisce e ritorna nello sfondo senza nessun controllo del soggetto, che aspetta che il pericolo finisca.

A questo punto usciamo dal momento culminante ed entriamo nella fase discendente della sequenza del trauma, quella in cui l’arousal decresce, il post-contatto. Per la  Gestalt, infatti, l’esperienza non finisce quando usciamo dalla situazione, ma prevede un tempo in cui la persona si ritira e inizia un processo di assimilazione. Il vissuto del trauma e, soprattutto, la memoria corporea che la persona si porterà impressa non dipende solo da ciò che ha vissuto “durante” l’evento, ma da come lo assimila “dopo”, in particolare nelle ore, nei giorni, nelle settimane successive.

Nel caso del trauma non abbiamo alcuna assimilazione, perché non c’è stato contatto e quindi non c’è nessuna novità da assimilare. Sarà poi l’esperienza narrativa a creare nuovi processi di contatto dove il trauma potrà essere rivissuto e trasformato in un’esperienza assimilabile. Non c’è assimilazione, ma c’è una “chiusura” dell’esperienza, necessaria alla persona per andare avanti.

Quando la vittima trova immediato soccorso, ovvero persone che la accolgono, la abbracciano, la ascoltano, le fanno sentire di essere al sicuro e si prendono cura, allora inizia un nuovo processo di contatto che può curare l’esperienza precedente. La vittima fa esperienza di prendere sostegno che è ciò che cura l’esperienza appena fatta di impotenza e assenza di sostegno. In questo modo la mente può iniziare un processo di elaborazione grazie al quale la persona acquisisce una narrazione dell’evento, che le dà potere e che cura il vissuto di frammentazione esperito durante il trauma. In poche parole, trovare sostegno/soccorso subito dopo il trauma consente alla vittima di rivivere l’esperienza traumatica, ma in una nuova situazione di sostegno e quindi di uscirne fortificata e resiliente.

Se la persona non trova sostegno nell’ambiente, la chiusura di questa Gestalt avverrà in maniera nevrotica, grazie al sostegno dagli introietti che danno una forma comprensibile all’evento. La vittima inizia cioè a spiegare l’evento con una convinzione su di sé o sul mondo, che impara nell’ambiente circostante. Gli introietti sono pensieri di qualcun altro che la persona fa propri e che diventano un corpo estraneo. “E’ colpa mia, non vado bene, il mondo è pericoloso, devo sempre stare all’erta, non sono amabile, devo fare da solo, sono solo, ecc”. Sono etichette che racchiudono una memoria che spesso sprofonda nel corpo e viene rimossa a livello cognitivo. Rimane l’introietto, ma si perde l’esperienza fatta. Essa viene immagazzinata sotto forma di percezioni visive, dettagli, un suono, un odore, emozioni e sensazioni corporee e rimane come congelata nella mente, dissociata dalle connessioni con altre esperienze precedenti e successive.

Nelle esperienze successive, quando la persona entra in un nuovo processo di contatto e sente il desiderio di lasciarsi andare e fare a meno dei confini, si spaventa perché riemerge l’esperienza fatta in cui i suoi confini sono stati calpestati. A quel punto riemerge l’introietto da cui la persona prende orientamento. Per evitare di ripetere l’esperienza di impotenza controlla la situazione attraverso l’introietto.

Anche il modello Emdr prevede l’indagine delle convinzioni negative che la persona costruisce per dare senso e poter narrare esperienze traumatiche accadute.

La vittima di traumi vive in un atteggiamento di prevenzione o attenzione continua, si aspetta di rivivere il pericolo, l’impotenza e la frammentazione dell’Io in qualsiasi momento, sente di non avere alcun controllo e per questo irrigidisce il suo io: questo è vissuto come l’unico modo per essere pronto e affrontare la vita.

Per la terapia della Gestalt gli introietti hanno la funzione di venirci in soccorso e non prenderci la responsabilità di vivere nuove esperienze, col rischio che ogni novità comporta. Se ho la convinzione di essere inadeguato mi comporto come se qualsiasi situazione difficile non fosse alla mia portata e quindi non faccio neanche lo sforzo di coinvolgermi e scoprire se da qualche parte trovo sostegno.

Il lavoro clinico attraversa due processi. Il primo è far emergere gli introietti (si manifestano come giudizi, i “devo”, le generalizzazioni, ecc) e sostenere un processo di masticazione che può essere anche molto lungo. Il secondo è aiutare la persona a vivere esperienze riparative, inizialmente nel setting, in cui può sperimentare il funzionamento flessibile dei propri confini e la co-creazione insieme al/alla terapeuta di figure chiare. Gradualmente questo funzionamento andrà a sostituire quello della frammentazione, dove la funzione io non può emergere ed essere esercitata poichè la funzione es (sensazioni, emozioni, che prendono la forma di vissuti di ansia e angoscia) è soverchiante e disorientante. Le testimonianze di reduci dai traumi riportano per anni stati di obnubilamento, nebbia e confusione che, in quest’ottica, sono forme di protezione rispetto alla possibilità di ri-vivere esperienze dolorose che la persona non si sente in grado di affrontare.

Sia per i pazienti che hanno rimosso i traumi, sia per coloro che ne conservano la memoria, non lavoriamo sul passato, ma sul presente. Poiché il trauma è un’esperienza non assimilata, questa riemerge continuamente nel presente, quindi non è necessario che il ricordo venga evocato perché è comunque impresso nel corpo. I gestaltisti hanno un allenamento a lavorare nel qui e ora, all’osservazione fenomenologica del corpo e all’ascolto dei propri vissuti (relazione simpatica). Spostandosi dal contenuto al processo i terapeuti della Gestalt lavorano non sul “cosa”, ma sul “come” il paziente parla, come entra nella stanza, gesti, posture, tono di voce, respiro, ecc. Nel riportare al paziente le loro osservazioni, sono indagati i vissuti e la consapevolezza si allarga. Muoversi sulla superficie è una strada efficace per far emergere le emozioni e accompagnare il paziente a rivivere ciò che è rimasto aperto del suo passato nel presente.

Per coloro che hanno memoria, invece, possiamo partire dal racconto dell’evento, ma solo per attivare il corpo. A quel punto lavoriamo con le emozioni, sensazioni e i movimenti che emergono nel qui e ora allo scopo di creare un’esperienza nuova. La formazione in Gestalt prevede lo sviluppo e l’allenamento dell’attitudine fenomenologica, che prevede il partire dal fenomeno per come si presenta ai nostri sensi. Nessuna tecnica e nessun protocollo. Il trattamento e la diagnosi si fonderanno sull’estetica, cioè la conoscenza data dai “sensi” che ci guiderà nella co-creazione col paziente di figure luminose e curative.

Se il passato rischia di travolgere il presente, e il paziente è travolto dalle emozioni, gli facciamo sentire il nostro supporto, possiamo toccarlo, chiedergli di aprire gli occhi, mettere i piedi per terra. E’ nel presente che il paziente può fare l’esperienza non solo di un ambiente che sostiene, ma anche della sua capacità di trovare le risorse per affrontare la vita. Come gestaltisti siamo allenati a cogliere il “next”, ovvero il movimento che serve al paziente, che non ha potuto compiere nel passato e grazie al quale può chiudere nel presente le sue Gestalt aperte.

Bibliografia

  • Bellini B. (2020), “La terapia della Gestalt con esperienze traumatiche. Il sostegno al processo di assimilazione tra terapia della Gestalt e EMDR”. Figure emergenti, 5. https://www.figuremergenti.it/articolo.php?idArticolo=12914
  • Butler J. (2004), Vite precarie. Contro l’uso della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, Roma.
  • Clarkson P. (1992), Gestalt Counselling: per una consulenza psicologica proattiva nella relazione d’aiuto, Sovera Multimedia, Roma.
  • Francesetti G., Gecele M., Roubal J., a cura di (2014), La psicoterapia della Gestalt nella pratica clinica. Dalla psicopatologia all’estetica del contatto, FrancoAngeli, Milano.
  • Francesetti G. (2020), Fondamenti di psicopatologia fenomenologico-grstaltica: un’introduzione leggera, Roma: Fioriti Edizione
  • Goodman P. (1995), Individuo e comunità, Eleuthera, Milano.
  • Perls F., Hefferline R.F. e Goodman P. (1951), Teoria e pratica della terapia della Gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana, Astrolabio, Roma, 1971; 1997.
  • Perls F. (1942; 1969), L’Io, la Fame, l’Aggressività, FrancoAngeli, Milano, 1995.
  • Perls F. (1973), L’approccio della Gestalt e testimone oculare della terapia, Astrolabio, Roma, 1977.
  • Perls F. (2023). Psicopatologia della Consapevolezza. Milano: Astrolabio.
  • Philippson P. (2020), One-Power and Two-Power Therapy, Manchester Gestalt Centre, Manchester.
  • Pizzimenti M., a cura di (2015), Aggressività e sessualità. Il rapporto figura/sfondo tra dolore e piacere, FrancoAngeli, Milano.
  • Pizzimenti M. (2016), “Intenzionalità di contatto e aggressività”, Figure Emergenti, 2-11: 24-27. https://www.figuremergenti.it/articolo.php?idArticolo=10017
  • Pizzimenti M. (2019), Salomè e la danza dei sette veli, in Sichera A., Conte V., a cura di, Avere a Cuore. Scritti in onore di Giovanni Salonia, San Paolo Edizioni, Milano, pp. 297-302.
  • Pizzimenti M. (2020), “La co-creazione e il superamento della cultura della dominanza”, Figure emergenti, 5. https://www.figuremergenti.it/articolo.php?id
  • Pizzimenti M. , Bellini B. (2022), Sessuologia della Gestalt. Manuale imperfetto per continuare la rivoluzione sessuale, Franco Angeli, Milano.
  • Pizzimenti M., La Rosa S. (2016), “Aggressività e sessualità: Mariano Pizzimenti e Sergio La Rosa in dialogo con Giovanni Salonia e Antonio Sichera”, Figure emergenti, 1.
  • Quattrini P. (2015b), Aggressività e territorialità, in Pizzimenti M., a cura di, Aggressività e sessualità. Il rapporto figura/sfondo tra dolore e piacere, FrancoAngeli, Milano, pp. 119-148.
  • Robine J.-M. (1995), Il rivelarsi del sé nel contatto, FrancoAngeli, Milano, 2006.
  • Robine J.-M., a cura di (2018), Sé. Una polifonia di psicoterapeuti della Gestalt contemporanei, FrancoAngeli, Milano.
  • Salonia G. (2001), Tempo e relazione. l’intenzionalità relazionale come orizzonte ermeneutico della psicoterapia della Gestalt, in Spagnuolo Lobb M., a cura di, Psicoterapia della Gestalt. Ermeneutica e clinica, FrancoAngeli, Milano.
  • Salonia G. (2004), Sulla felicità e dintorni. Tra corpo, tempo e parola, Argo Editore, Ragusa.
  • Salonia G. (2008), La psicoterapia della Gestalt e il lavoro sul corpo. Per una rilettura del fitness, in Vero S., a cura di, Il corpo disabitato. Semiologia, fenomenologia e psicopatologia del fitness, FrancoAngeli, Milano, pp. 51-71.
  • Sclavi M. (2003), Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Mondadori, Milano.
  • Spagnuolo Lobb M. (2011), Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna, FrancoAngeli, Milano.
  • Stern D.N. (2005), Il momento presente. In psicoterapia e nella vita quotidiana, Raffaello Cortina, Milano.
  • Zara G. (2018), Il diniego nei sex offender. Dalla valutazione al trattamento, Raffaello Cortina, Milano.

Ti potrebbe interessare anche...