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Aggressività e sessualità: Mariano Pizzimenti e Sergio La Rosa in dialogo con Giovanni Salonia e Antonio Sichera

Aggressività e sessualità: Mariano Pizzimenti e Sergio La Rosa in dialogo con Giovanni Salonia e Antonio Sichera

Dalla recente pubblicazione del libro “Aggressività e sessualità. Il rapporto figura/sfondo tra dolore e piacere”, la scuola SGT ha proseguito la ricerca e il dialogo con la comunità gestaltica sui temi della sessualità e dell’aggressività. Abbiamo il piacere di presentarvi questo dialogo in cui Mariano Pizzimenti, direttore della Scuola Gestalt di Torino e curatore del libro, e Sergio La Rosa, formatore internazionale e co-autore, dialogheranno con figure in primo piano a livello nazionale e internazionale nella ricerca teorica e clinica sulle fondamentali tematiche gestaltiche. Nell’arco dei prossimi mesi andremo avanti nello scambio e vi proporremo altri punti di vista. L’intento di questo dialogo è di arricchire la teoria dell’aggressività sessuale attraverso le critiche e le riflessioni con cui ci confronteremo e, allo stesso tempo, proseguire ed ampliare la ricerca sul tema della sessualità, in cui tutt’ora, nella psicoterapia della Gestalt, ci sono grandi lacune e pochissimi strumenti di lavoro.   

In questo numero ho l’onore di presentarvi i nostri due primi interlocutori, Giovanni Salonia, direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt HCC Kairos e della rivista on-line GTK e Antonio Sichera, docente di letteratura italiana all’Università di Catania e ricercatore di Gestalt Therapy da oltre 20 anni, a cui abbiamo sottoposto 4 domande.

  1. Secondo il pensiero di Mariano Pizzimenti argomentato in “Aggressività e Sessualità. Il rapporto figura/sfondo tra dolore e piacere” (Franco Angeli, 2015), l’aggressività ha bisogno di sostenersi sulla sessualità e sull’amore per creare una nuova cornice della  forza trasformatrice e distruttiva. Così come la sessualità e l’amore trovano nell’ aggressività i propri limiti. Come intendete voi, in quanto gestaltisti, il rapporto tra aggressività e sessualità?
  2. Nella teoria dell’aggressività sessuale di MP,  l’aggressività e la sessualità possono essere viste come motori dell’intenzionalità (“di contatto”). Secondo la vostra visione in che modo sessualità, aggressività e intenzionalità trovano senso coerentemente all’interno di una teoria sessuale gestaltica?
  3. Uno dei punti più controversi del pensiero di MP al momento di pensare una teoria sessuale gestaltica ? quella di considerare pulsioni sessuali e aggressività sessuale come aspetti che non coincidono. L’aggressività sessuale viene vista come evoluzione tanto dell’aggressività dentale come della pulsione sessuale. Come capite voi questi concetti?
  4. Come immaginate la maturità sessuale umana secondo una lettura gestaltica?

 

DIALOGO TRA MARIANO PIZZIMENTI E SERGIO LA ROSA CON GIOVANNI SALONIA

Vi presento brevemente Giovanni Salonia, che è Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’Istituto di Gestalt Therapy HCC Kairos. Full member del New York Institute for Gestalt Therapy e past president della Federazione Italiana Scuole Istituti di Gestalt (FISIG). Co-fondatore e co-direttore (fino al 2002) della rivista Quaderni di Gestalt, direttore della rivista internazionale on-line GTK, della collana GTK, Il Pozzo di Giacobbe. Giovanni collabora con la nostra scuola attraverso seminari per professionisti all’interno dei quali si è intrecciato con lui uno scambio sui temi della sessualità e corporeità. Grazie Giovanni per la tua disponibilità al confronto.

     

COMMENTO DI SALONIA

Non credo di aver compreso fino in fondo le domande che mi sono state rivolte sul pensiero di Mariano Pizzimenti: non mi è facile collocarmi nella prospettiva richiesta. Certamente apprezzo il tentativo di indagare esperienze così complesse – e a tratti misteriose – come la sessualità e l’aggressività. Trovo proficua occasione di confronto e di arricchimento misurarsi su questi temi.

Per rispondere in modo accurato, devo premettere alcune considerazioni che costituiscono, per me, il contesto necessario per fondare una riflessione su questi temi.

Inizio dalla medievale e sempre attuale saggezza della ‘clarificatio terminorum’: di cosa parliamo quando diciamo ‘aggressività’?

La Gestalt Therapy è nata proprio – come sappiamo – dal ridefinire il concetto di aggressività[1], non più letta come risposta alla frustrazione, ma ripensata come modalità critica necessaria per un’assimilazione personalizzata. Visione, quindi, positiva dell’aggressività, che viene avallata dalla matrice semantica di ad-gredior (che significa avvicinarsi). La novitas di Perls, dunque, è l’aver confutato la teoria dell’introiezione come unica modalità di assimilazione e aver introdotto la necessità della destrutturazione dentale per un’assimilazione che produce crescita genuina. Tale geniale scoperta – da cui hanno avuto origine molti elementi del corpo teorico e della prassi clinica della Gestalt Therapy – veniva presentata come ridefinizione della fase orale (con una seconda sotto-fase aggressiva) e come anticipazione in questa fase dell’aggressività anale. Inserire l’aggressività come modalità relazionale nella fase orale illuminò la comprensione del processo di crescita e di assimilazione (una prima pioneristica intuizione era stata formulata da Abraham[2]).

Dove Perls sbagliò fu però nel ritenere che l’aggressività dentale fosse anticipo della aggressività anale[3]. La aggressività dentale, infatti, fa riferimento alla fase della dipendenza e riguarda l’energia dell’Organismo che deve destrutturante il cibo per poterlo assimilare. È l’aggressività che entra in gioco nei confronti del ‘cibo’ (di ciò che proviene dall’Ambiente). L’aggressività anale, invece, ha altre caratteristiche completamente differenti: non si contrappone né destruttura contenuti provenienti dall’Ambiente, ma esprime l’emergere nel bambino del senso del potere di contenere e rilasciare[4]: ha, quindi, una sua origine intima, nasce dall’interno del corpo del bambino, anche se si inscrive in una dimensione relazionale (il rapporto con la figura materna che attende le sue performances).

Oltre all’aggressività orale e a quella anale, esiste poi un terzo tipo di aggressività propria della fase di genere (che Freud chiamò infelicemente ‘fase fallica’): si tratta della scoperta che fa il bambino dei propri organi genitali nel loro essere protesi con energia verso il penetrare o l’accogliere. È la fase in cui si scopre la forza dell’autonomia iniziando dal registro del piacere e in cui, nello stesso tempo, si sperimenta l’aggressività del camminare, del muoversi verso il mondo con le proprie gambe (è fase del riavvicinamento, secondo la geniale intuizione della Mahler[5]).

Solo dopo aver maturato questi passaggi si approda alla aggressività che è inclusa nella competenza ‘sessuale’.

COMMENTO DI MARIANO PIZZIMENTI

Come prima cosa vorrei ringraziare Giovanni Salonia per questo confronto, oltre che per la curiosità che dimostra rispetto a visioni della gestalt differenti. Detto questo mi inoltro nei termini del dialogo.

Nel PHG gli autori parlano solo dell’aggressività dentale e non argomentano più i molteplici tipi di aggressività, forse per gli scopi che essi si proponevano con quel libro. Solo in “L’Io, la fame e l’aggressività” Perls ne parla. Da questa considerazione sono partito per sviluppare in chiave relazionale gli altri tipi di aggressività, collocandoli dunque in una visione più gestaltica e meno psicoanalitica, anche se continuo ad utilizzare l’originaria terminologia Freudiana, perché la trovo affascinante ed evocativa. Rispetto a quanto dice Giovanni ho delle perplessità. Non credo che la distruttività appartenga solo all’aggressività dentale, ma che sia propria di ogni tipo di aggressività. Sono d’accordo quando afferma che l’aggressività anale non ha lo scopo di destrutturare l’ambiente per poi assimilare, ma non capisco bene cosa intenda quando dice che “ha una sua origine intima, nasce dall’interno del corpo del bambino, anche se si inscrive in una dimensione relazionale (il rapporto con la figura materna che attende le sue performances)”. Come tutte le forme di aggressività non può nascere solo all’interno del corpo del bambino, ma sempre nell’interazione fra interno ed esterno in cui ognuno dei due determina l’altro. L’aggressività anale ha prima di tutto il compito di liberarci di ciò che non serve o non serve più. In questo senso ha anch’essa una funzione destrutturante, in quanto si tratta di eliminare ciò che “poi” scopriamo che non ci serve, cioè una volta che l’abbiamo ingerito. Da questo punto di vista assolve ad un compito molto importante che è quello di allontanare ciò che ci può intossicare. Per quanto si possa destrutturare il mondo esterno, questo non sarà mai completamente assimilabile, ci saranno sempre delle componenti tossiche da eliminare. Per estensione credo si possa definire aggressività anale il respingere ciò che dall’ambiente arriva e che noi sperimentiamo tossico, sia un pensiero, un’esperienza, una relazione. Se vogliamo è un’aggressività che esprime una variante della distruttività, cioè l’annientamento, che attuiamo quando siamo in presenza di qualcosa di dannoso in cui non c’è più niente che possiamo assimilare, allora lo rendiamo “niente”, lo espelliamo completamente. E’ l’”andare-verso-per-respingere”.

Un ulteriore punto di disaccordo riguarda la scoperta della sessualità del bambino. Come possiamo affermare che il bambino sperimenta un desiderio di penetrazione o di accoglimento? Il piacere sessuale comincia molto prima di queste due speciali spinte relazionali. Se penso a mia figlia di due anni che a cavalcioni della mia gamba muoveva il bacino per provocarsi piacere, non riesco proprio ad immaginare che ci fosse in lei un desiderio di accoglimento. La sessualità si sviluppa primariamente come autoerotismo. E in questo caso non ha senso parlare di retroflessione, perché non è un moto rivolto verso l’esterno che viene indirizzato verso di sè, ma di un moto che nasce verso di sè e in cui l’esterno è presente solo come oggetto d’uso: la mia gamba, o il cuscino o il materasso permettono semplicemente di lasciare le mani libere che possono essere impegnate nel succhiarsi il pollice e toccarsi l’orecchio: tre piaceri contemporaneamente. Non serve l’aggressività, non c’è niente da distruggere e, se vogliamo, neanche niente verso cui andare. A parte situazioni in cui l’autoerotismo assumeva un particolare valore compensatorio, non ho mai visto un/a bambino/a “andare verso” il materasso per strofinarcisi contro. E’ piuttosto “l’occasione” di essere a letto che fornisce questo utile strumento di piacere lasciando, come ho già detto, le mani libere.

Per me la sessualità non ha in sè una propria aggressività, anche se spesso l’aggressività è necessaria per poter agire la sessualità. Questo perché, nella nostra cultura, il poter vivere la sessualità con un’altra persona è spesso assimilabile ad una lotta. Come fa notare Carse nel suo libro  “Giochi finiti e infiniti” (    ), l’altro deve spesso essere conquistato, vinto, posseduto, ma questo è da imputare all’uso che della sessualità è stato fatto dalla maggior parte delle società che hanno fatto diventare strumento di potere l’imbrigliamento ed il controllo della sessualità.

Aggressività e sessualità restano per me due funzioni distinte dell’organismo che possono unirsi in quella che definisco aggressività sessuale, ma che altrimenti possono esprimersi separatamente.

COMMENTO DI SERGIO LA ROSA

Quando pensiamo alla sessualità, in ogni singolo approccio clinico, al di là la scuola analitica che si scelga, ci troviamo a confrontarci con l’inevitabile pensiero freudiano. Che ci piaccia o meno dà senso a questo dibattito scientifico che, grazie alla generosità di Mariano Pizzimenti, possiamo fare apertamente. Non ricordo un dibattito così nella storia della psicoterapia della Gestalt.

Aprire il singolo criterio teorico alla discussione comporta coraggio e rischio, come tutti sappiamo; non è frequente che un’idea scientifica si confronti e si pubblichi prima di essere maturata.

Sarebbe molto interessante confrontare ogni pensiero con la giustificazione bibliografica che sostenga le risposte. Cosa che penso accadrà nelle prossime risposte, una volta che la macchina teorica possa trovare la giusta velocità.

La parte forte della teoria di Mariano sono la novità di pensare in termini sessuali all’interno della psicoterapia della Gestalt, anche questa una cosa mai accaduta a livello teorico. E l’idea di creare metodologicamente un pensiero clinico rispetto alle manifestazioni sintomatiche della sessualità post moderna.

La parte fragile della teoria è rappresentata dal linguaggio scelto da Mariano per spiegare il suo pensiero. Cosa che da due anni discutiamo, e che sicuramente sarà motivo centrale della prima fase del dibattito. Consapevoli del lavoro che abbiamo da fare per dare basi solide alla teoria dell’aggressività sessuale abbiamo creato l’occasione di confrontarci con grandi psicopatologi della Gestalt.

Vedo nella risposta di Giovanni Salonia un pensiero profondo e curato della storia della sessualità. Forse aggiungerei che tanto Goodman come Perls o Rank seguono un’idea ancora molto centrata sulla teoria sessuale freudiana, anche per non essere d’accordo con Freud. Nelle ultime decadi del XX secolo la scuola americana vede la sessualità principalmente quando si parla di sessualità infantile come una conseguenza del dominio della società sull’individuo. Pensiero innovativo che non vede le sessualità come “uguale” in diverse società, dove la maturità arriverà in modo sincronicamente diverso secondo la matrice culturale che costituisce la forma e il momento della maturazione del desiderio in ogni gruppo sociale. Non capisco l’idea infantile sul penetrare o accogliere. Idee secondo me caricate di significato esplicitamente genitale, cosa che arriverà in modo consapevole dopo la fase di latenza, “questo secondo la teoria sessuale freudiana”. Voglio dire che la sessualità non diventa fenomeno relazionale esplicabile per l’individuo fin che l’esperienza non possa essere collegata col significato. Su queste cose Anna Freud e Francois Dolt? ci spiegano con grande chiarezza. Anch’io pensando in modo freudiano (moderno) direi che l’istinto sessuale infantile come tale finisce nella età latente per maturare come introietto culturale nella fase posteriore. Forse il problema scientifico più emergente della post modernità è quello di accettare che le fasi nominate sopra si pongono nella misura della maturità individuale, come peraltro spiega Stern. Possiamo anche noi accettare che le fasi servono solo come orientamento teorico di difficile applicazione scientifica, tant’è vero che al giorno d’oggi non c’è alcuna scuola legata al principio delle fasi, e, al loro posto, si preferisce parlare di “assimilazione contemporanea di fenomeni diversi”.  Qua nuovamente ci troviamo col pensiero americano in cui il significato della sessualità arriva all’individuo secondo la matrice culturale che lo sostiene. Il problema teorico da affrontare è quello di accettare che non si arriva alla maturità sessuale seguendo diversi step, ma assimilando diverse esperienze di auto esplorazione e esplorazione. La maturità, anche se pensiamo all’introiezione, arriva in modo relativamente contemporanea alla ricchezza che il campo provvede. Tornando sul pensiero di Otto Rank, penso che l’idea di individuarsi e appartenere sono idee relativamente mature dell’evoluzione umana emerse dopo la latenza freudiana.

Se pensiamo all’idea di Mariano Pizzimenti che in nessun momento parla di sessualità evolutiva, sostiene diversi e nuovi stadi di comprensione dell’aggressività, direi che neanche parla di momenti definiti come passaggi cronologici. Nè parla di sessualità infantile come cosa specifica.  Il suo pensiero si incentra sulla sessualità adulta.

 

DIALOGO PIZZIMENTI/SALONIA

Giovanni Salonia: “La sessualità[6], quindi, emerge come punto di arrivo di un processo di maturazione corporeo-relazionale che include l’assimilazione progressiva di diversi tipi di aggressività che confluiscono in modo successivo (e non casuale) nel formare quell’aggressività che caratterizza appunto la sessualità: la forza di penetrare e di contenere nelle sue variegate declinazioni”.

Mariano Pizzimenti: Non sono d’accordo con questa affermazione. Penetrare e contenere sono solo due delle possibilità della sessualità e non hanno necessariamente bisogno di aggressività. Inoltre vedere la sessualità femminile come contenimento è riduttivo. Può essere afferrare attivamente, prendere, “vaginare” che poco hanno a che fare col contenere. Quella maschile oltre che penetrativa può essere accettante, accogliente, abbandonica. Inoltre, ridurre la sessualità alla genitalità, significa impoverirla, privarla della sua ricchezza, di una molteplicità di scambi di cui quello genitale è solo uno di quelli possibili, anche se, probabilmente, quello energeticamente più forte.

Giovanni: In altre parole, la maturità sessuale viene vista da Freud, da Reich e dalla Gestalt Therapy in una prospettiva epigenetica, come approdo di un processo di assimilazione di competenze precedenti che hanno permesso di integrare progressivamente (e, ripeto, non casualmente!) le due spinte fondamentali dell’Organismo: individuarsi e appartenere (Otto Rank)[7].

Fatte queste premesse, è chiaro che non avrà più senso – né a livello antropologico né clinico – parlare di una spinta sessuale senza tener conto dello sfondo diacronico delle competenze che l’hanno formata. Né essa potrà essere considerata in modo avulso dal contesto sincronico dell’integrazione con altre spinte Organismiche. In termini gestaltici – come vedremo – la sessualità esprime e dona pienezza se emerge come figura da uno sfondo duplice: l’integrazione della funzione-Es del Sé con la funzione-Personalità e, in secondo luogo, il percorso che va dall’orientarsi al manipolare, decidere e consegnarsi.

Mariano Pizzimenti: Come tutti i processi di contatto, la sessualità ha bisogno di tutte e tre le funzioni: io, es e personalità. Non capisco questo non tener conto della funzione io, che poi rappresenta proprio l’orientarsi, manipolare, decidere etc.

Giovanni Salonia: Venendo allora alla domanda 1, la mia perplessità riguarda proprio il fatto che non mi sono chiari i significati dei termini usati.

Di quale tipo di aggressività si intende parlare? Di quale amore? “L’aggressività ha bisogno di sostenersi sulla sessualità e sull’amore per creare una nuova cornice della forza trasformatrice e distruttiva”. È ovvio che il bambino impara i diversi stadi evolutivi – e quindi i diversi tipi della aggressività – in una relazione affettiva. Se la relazione è positiva, l’aggressività si evolverà in termini di sana distruzione o, meglio, di aggressività ‘calda’ che trasforma la realtà; se la relazione è negativa emergerà un’ aggressività ‘fredda’, unicamente distruttiva.

Mariano Pizzimenti: Non stiamo parlando dello sviluppo del bambino, ma dell’evoluzione dell’adulto. L’aggressività potrà anche essere calda, ma se non viene “condizionata” dalla sessualità, tenderà sempre all’individuazione, a fare emergere l’io. C’è sempre molto io in un atto aggressivo (a meno che non si tratti di reattività). Anche se aggredisco per procurare cibo per tutta la famiglia, ci sarò sempre molto io nell’atto aggressivo.

La sessualità invece porta alla fusione, alla perdita dell’io, alla perdita dei confini.

Giovanni Salonia: nella seconda domanda si scrive che l’aggressività ha bisogno di sostenersi sulla sessualità e sull’amore così come la sessualità e l’amore trovano nell’aggressività i propri limiti. A mio avviso, ‘l’intenzionalità di contatto’( va accluso il termine ‘di contatto’ per evitare equivoci a livello filosofico) ha come matrice la spinta alla crescita e alla pienezza. Di volta in volta questa spinta assume le forme che la situazione concreta richiede. È chiaro che quando l’Organismo funziona, ambedue le sue esigenze (individuarsi e appartenere) sono compresenti nel ritmo di figura/sfondo su cui si muove ogni intenzionalità.

Domanda 3.

Uno dei punti più controversi del pensiero di MP al momento di pensare una teoria sessuale gestaltica ? quella di considerare pulsioni sessuali e aggressività sessuale come aspetti che non coincidono. L’aggressività sessuale viene vista come evoluzione tanto dell’aggressività dentale come della pulsione sessuale. Come capite voi questi concetti?

Giovanni Salonia: Per rispondere a questa terza domanda è, a mio avviso, necessario precisare se parliamo di funzionamento sano o di disfunzione. Nel funzionamento sano la pulsione sessuale include l’aggressività sessuale; in quello disfunzionale avviene la scissione, per cui al confine di contatto l’Organismo non arriva nella sua integrità e pienezza. Si tratta di disfunzioni della funzione-Es o della funzione-Personalità del Sé[8] che si intrecciano con interruzioni del ciclo di contatto.

Giovanni Salonia: Infine, rispetto all’ultima domanda. La maturità sessuale è, gestalticamente, la capacità del contatto “finalmente”! In altre parole, il Sé che si concentra (Goodman) dopo un rapporto sessuale deve avvertire senso corporeo di completa e profonda pienezza (la valutazione organismica). Se questa sensazione non emerge, bisogna ipotizzare che manchi uno di questi tre requisiti:

– che si tratti di una relazione paritaria;

– che l’Organismo abbia maturato nello sfondo la capacità di affidarsi, di contrapporsi, di essere autonomo e di consegnarsi;

– che ‘ciò che sento’ (funzione-Es) si sia integrato con ‘chi sono io che sento’ (funzione-Personalità).

La presenza di tutti questi condizioni è garanzia di pienezza, l’assenza anche di uno solo di questi requisiti determina disfunzioni spiacevoli (a livello di integrità o di pienezza).

Marcatore di questi processi è la transizione dal bisogno al desiderio[9]. Mentre il bisogno è unilaterale ed ossessivo, il desiderio è reciprocità e ‘grazia’.

Sergio La Rosa: Rispetto alle risposte del dott. Salonia:  la prima cosa da chiarire è che stiamo parlando di sessualità adulta più che del processo evolutivo della sessualità. Se penso all’idea di distruggere per trasformare l’altro, vediamo un’idea molto coerente con l’idea di aggressività dentale. Capisco che in ogni incontro sessuale le difese dell’altro vengono trasformate (distrutte) per creare un’energia diversa che darà spazio alla assimilazione dell’esperienza.

Non riesco a capire nella risposta di Giovanni Salonia se l’aggressività sessuale possa essere per lui compresa come parte dell’intenzionalità di contatto. Questo aspetto molto controverso del pensiero di Mariano meriterebbe una risposta più chiara per trovare coerenza epistemologica. Detto in altri termini, per me rimane da chiarire con Giovanni Salonia se le varie forme di aggressività di cui parla sono motori dell’intenzionalità, o no, cosa che ovviamente va al di là dell’idea di sessualità.

Quando si parla di pulsione sessuale non si parla di sessualità sana o disfunzionale, dunque capisco e condivido quando Giovanni parla di  funzioni del sè che si mettono in gioco al momento di pensare all’attivazione del desiderio sessuale. Ma le pulsioni appartengono all’esistenza stessa del sè.  Questa domanda forse Giovanni Salonia la potrà chiarire in una fase posteriore del dialogo.

 Quest’ultimo aspetto libero del pensiero di ogni psicopatologo merita essere assimilato così è senza replica, su quest’ultima domanda possiamo pensare ad una conclusione generale che risponderò (risponderemo) alla fine del dibattito

 

DIALOGO TRA MARIANO PIZZIMENTI E SERGIO LA ROSA CON ANTONIO SICHERA

Vorrei presentare Antonio Sichera, che leggendo i contributi sull’aggressività sessuale, generosamente ci ha offerto questo suo contributo al dibattito.

Antonio Sichera insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea nell’Università di Catania ed è docente di Ermeneutica e Fenomenologia nella Scuola di Specializzazione postuniversitaria (con riconoscimento MIUR) dell’Istituto di Gestalt H.C.C. (sedi di Ragusa, Siracusa, Palermo, Roma e Venezia). Ha scritto volumi e saggi su numerosi autori (da Foscolo a Montale, da Pirandello a Pavese, da Pasolini a Orelli) e si è occupato anche di aspetti teorici e filosofici della prassi critica, in rapporto con la riflessione di Benjamin e con la teologia letteraria del Padre Jossua, oltre che in stretto contatto con la patrologia cristiana. Sul versante gestaltico ha approfondito la questione ermeneutica e le relazioni fra evento poetico ed evento psicoterapico. Fra i suoi saggi: Introduzione a F. Perls-R. Hefferline-P. Goodman Terapia della Gestalt, Roma, Astrolabio, 1997; Tra Gadamer e Goodman. Per una epistemologia ermeneutica della Gestalt, in M. Spagnuolo Lobb (a cura di), Psicoterapia della Gestalt. Ermeneutica e clinica, Milano, Franco Angeli, 2000; Oltre il metodo, in A. Sichera-M. Paino (a cura di), Un dono in forma di parole, La Spezia, Agorà, 2002; La funzione-Personalità nel testo Gestalt Therapy, in GTK, 2012/01.

Non ho mai lavorato direttamente con Antonio Sichera, ma è un grande onore per me averlo come ospite in questa rivista in quanto i suoi contributi filosofici rappresentano delle pietre miliari nella storia della gestalt e sono alla base della mia formazione teorica.

COMMENTO DI ANTONIO SICHERA

Antonio Sichera: Le considerazioni svolte nel capitolo del libro del Dott. Pizzimenti affrontano la questione della sessualità in Gestalt Therapy da due punti di vista. Per un verso si affronta il tema dei disturbi inerenti la sfera sessuale su un piano clinico, richiamando i principi gestaltici dell’assunzione di responsabilità e della visione contestuale del disturbo, con uno stile personale e che interpreta da un punto di vista specifico i cardini della clinica gestaltica. Su questo punto posso solo rilevare il fenomeno. Mi occupo di Gestalt Therapy da tanti anni ma non esercitando da gestaltista sul piano clinico esprimo sempre grande rispetto per la ricerca di quanti operano sul campo e tentano vie di risposta concreta ai bisogni pressanti dei pazienti.

In quanto antico frequentatore e didatta del libro fondativo di Perls e Goodman posso – da questo limitato punto di vista – sollevare alcuni dubbi e avanzare alcune questioni in rapporto alle tesi del capitolo, ponendole in relazione con quanto sostenuto in Gestalt Therapy.

La prima osservazione riguarda l’estensione del concetto di aggressività, definita come «il moto dell’organismo per ottenere qualcosa dall’ambiente». L’aggressività pare qui insomma dilatare il proprio spettro teorico fino a coincidere con la molla stessa del contatto, ovvero con la spinta organismica al soddisfacimento del bisogno. Su questo punto, se penso alle tesi di Perls e Goodman, mi sento molto dubbioso. Il rischio è infatti quello di sovrapporre aggressività ed eccitazione, non tenendo conto del fatto che l’emergenza dell’eccitazione nel campo non è necessariamente connotata come pulsione aggressiva, né come tensione dell’organismo ad ‘impadronirsi’ dell’oggetto, a dominarlo e a possederlo. Se stiamo a Gestalt Therapy possiamo certamente sostenere, riguardo alla portata dell’«aggression» – concetto però non immediatamente identificabile con l’aggressività tout court – che essa ha un ruolo nel processo del contatto, ma esso ha a che fare con l’intervento della funzione Io, con il suo ‘necessario’, almeno in un campo complesso e contraddittorio come quello in cui di norma quotidianamente ci muoviamo, vagliare/identificare/distruggere le possibilità offerte dal campo stesso in vista del compimento del contatto. Si tratta insomma di un processo di masticazione che apre l’organismo alla focalizzazione dell’opportunità ‘buona’ per lui, in rapporto al bisogno corporeo (Es) e alla sua consapevolezza del proprio ruolo, della propria condizione, della propria storia assimilata e scritta nel corpo (Personalità).

L’estensione incontrollata dell’aggressività comporta una possibile considerazione dell’«invasione» e persino della «violenza» quali «tentativi di contatto», mentre mi pare chiaro, in Perls-Goodman, che ogni volta che l’organismo viene invaso o è oggetto di violenza da parte di quello che gli Autori chiamano «il conquistatore», comunque lo si voglia intendere, siamo di fronte ad una patologia del contatto e non ad un suo tentativo non andato a buon fine. Insomma una deviazione dal flusso fisiologico dell’esperienza e non una sua forma ‘abortita’ ma reale almeno nel suo presupposto di base.

Mariano Pizzimenti: Non posso che essere d’accordo col prof. Sichera, che ringrazio per questo confronto, anche perché mi ha permesso di rendermi conto di alcune imprecisioni che ci sono nella prima parte del capitolo che ho scritto e che effettivamente danno l’impressione che io faccia coincidere l’aggressività col contatto o con l’eccitazione, anche se poi mi sembra di aver chiarito nel proseguo. Entro nel merito: non ha alcun senso per me estendere il concetto di aggressività fino a farlo coincidere con l’eccitazione o col contatto. Ma questo rischio non c’è se manteniamo la caratteristica prima dell’aggressività, cioè la distruttività. L’aggressività ha come scopo la distruzione o addirittura l’annientamento (come nel caso dell’aggressività anale) di ciò che ostacola il raggiungimento e/o l’assimilazione dell’oggetto o soggetto del contatto. Sono d’accordo con la definizione di contatto riportata : l’incontro con la novità assimilabile e le azioni necessarie per assimilarla o rifiutarla. L’aggressività fa parte, ma non è l’unica, delle azioni necessarie. Trovo che invece proprio privando l’aggressività della distruttività e riducendola ad un ad-gredere, andare verso, che si corre questo rischio. L’aggressività non è la spinta al soddisfacimento del bisogno, ma l’azione necessaria a distruggere gli impedimenti all’assimilazione. Per quanto poi riguarda il considerare “l’invasione” e la violenza quali patologie del contatto, se per patologia intendiamo dialogo con la sofferenza … allora anche su questo punto sono d’accordo. Mi è successo parecchie volte di invadere o anche di violare i confini di un’altra persona e accorgermene solo quando sono stato confrontato con la sua sofferenza. A questo punto ho fatto un passo indietro e ci siamo incontrati sul confine. Quindi è vero che il mio modo di fare contatto è stato “patologico”, ma attraverso questa patologia siamo poi arrivati al contatto. Il processo di contatto richiede coraggio, per superare le paure dei vari pericoli che incontriamo insieme alle novità assimilabili. Il rischio di invadere e/o di violare è sempre presente e credo sia importante essere disposti a correrlo. Se non c’è la disponibilità del “passo indietro”, allora siamo di fronte ad “una deviazione dal flusso fisiologico dell’esperienza” . Invasione e violenza non sono tentativi di contatto quando vengono giustificati come necessari per raggiungere l’altro (perché l’altro “se l’è meritata” o “era necessario”) o come accettazione di una mia debolezza “è stato più forte di me”. In questo caso siamo di fronte al “conquistatore” a cui fa riferimento Goodman.  Possono invece essere visti come “tentativi”, se considerati parte di una indefinitezza e confusione dei confini che è presente nel campo, per cui è presente non una giustificazione della violenza o dell’invasione, ma un non riconoscimento di tali fenomeni.

Antonio Sichera: Altro elemento di riflessione contigua a questo livello di discorso è quello sul rapporto tra violenza e frustrazione, ovvero sull’attingibilità del desiderabile da parte del desideroso. In un’ottica goodmaniana direi che si tratta di una deviazione del desiderio, ridotto ad un bisogno spasmodico e patologico isolato dal contesto relazionale (e d’altronde l’intervento clinico del dott. Pizzimenti, successivamente descritto nel capitolo, va in questa direzione). Se non vogliamo rischiare una deriva psicoanalitica dobbiamo pensare il desiderio come libera funzione relazionale che si gioca correttamente nella sintonia con il libero sentire e desiderare dell’altro. Il ragazzo che al ballo ha un comportamento violento e oggettualizzante nei confronti del corpo della ragazza dimostra un disturbo evidente della funzione Personalità. Lo stesso comportamento – il bacio sul collo – in un contesto di corteggiamento atteso e voluto e di intesa corporea implicita può apparire come funzionale e adeguato al ruolo agito. È lo scollamento dal tempo, dallo spazio e dal contesto relazionale quel che rende il gesto violatorio e gravemente lesivo dell’altro/a. Il punto insomma non è la sottrazione dell’oggetto del desiderio, ma l’integrazione del soggetto nel campo e la sua maturazione affettiva e relazionale chiaramente deficitaria per motivi legati alla sua storia e al suo modi di entrare in rapporto con le donne, ecc.

Mariano Pizzimenti: Come ho più volte affermato nel libro, per me aggressività e sessualità vanno sempre letti contemporaneamentein un ottica individuale e di campo. In un’ottica di campo, non si può parlare di un disturbo della funzione personalità del ragazzo che mette la mano sul sedere della ragazza, se non si considera il campo ed il contesto. Se nel campo in cui quel ragazzo è immerso e, nello specifico, se nel contesto delle discoteche che lui frequenta, quel tipo di violenza è considerato adeguato perché “un vero uomo non deve chiedere mai” , allora il suo comportamento resta violento, ma non credo sia da considerare un disturbo della funzione personalità. Se in un certo ambiente, la regola non esplicitata è che se la ragazza non ci sta deve mollare uno schiaffo al ragazzo e andarsene insultandolo, altrimenti lui continua ad insistere, ecco che la violenza ricompare non solo come tentativo, ma addirittura come possibile contatto: lo schiaffo può essere ciò che rende assimilabile per il ragazzo la novità del rifiuto.

Antonio Sichera: Se pensiamo d’altronde alla sessualità in maniera gestaltica e dunque olistica, non possiamo mai, come dimostrato anche a questo proposito dalla pratica clinica di Pizzimenti, isolarla quale variabile indipendente dallo sviluppo e dalla maturazione dell’organismo animale umano nel campo. Il vissuto della sessualità, anche nell’incontro tra i corpi, non prescinde in nessuna maniera dal codice regolativo del contatto e dalla sua configurazione teorica: si tratta di un’esperienza integrale, in cui la dimensione corporea e affettiva occupa lo spazio dell’incontro, e in cui il dispiegarsi dell’aggressività ha a che fare con un”immediata sensibilità corporea tesa alla percezione istantanea dei bisogni propri e dell’altro/a, che consente ai partner l’identificazione/alienazione delle possibilità e delle modalità del contatto corporeo. Un orizzonte che include (e provoca) la sensazione estetica, la recettività della grazia, il dare e ricevere piacere, la finezza proprio ed eterocettiva, l’intuizione viva del kairòs, ecc.

Mariano Pizzimenti: Anche qui noto alcune differenze sul concetto di aggressività. Nuovamente ho dei dubbi su un concetto di aggressività privata di distruttività. Non credo che: “il dispiegarsi dell’aggressività ha a che fare con un”immediata sensibilità corporea tesa alla percezione istantanea dei bisogni propri e dell’altro/a”. Per me  l’aggressività necessità di funzione io, non solo di funzione es, perché presuppone il riconoscimento di ostacoli da rimuovere, resistenze da superare, obiezioni, rifiuti, tossine, etc. Questo se consideriamo che nell’aggressività c’è sempre distruttività. Se immaginiamo invece un’aggressività priva di distruttività allora tutto cambia.  Se però facciamo emergere l’aggressività-distruttività da uno sfondo in cui  la sessualità, intesa come desiderio di “fondere ciò che è diviso” (bisogno di intimità, desiderio di piacere, di corporeità), è presente come componente importante, allora questa condizione limita l’aggressività, inevitabilmente la influenza: la persona può sviluppare a questo punto  un’aggressività sessuale. Dunque, quello che Sichera chiama un’”immediata sensibilità corporea tesa alla percezione istantanea dei bisogni propri e dell’altro/a” per me, quando è presente può essere sia parte del movimento della sessualità che si sta sviluppando tra gli individui, che dell’aggressività, se, questa “immediata percezione”, segnala qualcosa da distruggere.

Antonio Sichera: Mi permetto poi un’ultima osservazione di sfondo relativamente al concetto di intenzionalità. L’intenzionalità vista come donazione di senso è propria infatti dello Husserl di Ideen, già orientato verso un preciso privilegio della coscienza quale organo costitutivo della realtà mondana. Dal mio punto di vista, l’intenzionalità a cui fa implicitamente riferimento Goodman in Gestalt Therapy ha maggiori punti di contatto con il primo Husserl, quello delle Logische Untersuchungen, dove il concetto di l’intenzionalità viene a coincidere con una rivoluzionaria dichiarazione del carattere essenzialmente relazionale del reale, per cui ogni domanda sull’oggetto o sul soggetto che sia indipendente dal loro rapporto risulta vana o addirittura priva di significato, in quanto solo di Erlebnisse, di esperienze vissute noi disponiamo, e di null’altro. È questa radicalità di pensamento della relazionalità, dell’esperienza e del vissuto l’eredità più coerente lasciata da Husserl a Gestalt Therapy. L’estensione dell’intenzionalità al processo del contatto mi pare, in primo luogo nella teorizzazione originaria, quella di Giovanni Salonia, un allargamento di tipo dinamico dell’idea di relazione in quanto ‘dato primario’ della mondanità. Come a dire che l’Altro della relazione non solo ‘è’, ma può e deve essere raggiunto perché avvenga la crescita dell’organismo e del suo campo vitale. Parliamo dell’Altro a cui ci si rivolge e dal quale si è toccati, dell’Altro con cui ci portiamo al confine, dell’Altro come principio e motore di movimento e di incontro, dove l’intenzionalità originaria assume la configurazione di una tensione al raggiungimento e all’incontro, divenendo insomma intenzionalità di contatto.

 

COMMENTO DI SERGIO LA ROSA

Qua ci confrontiamo col vero nodo teorico, che grazie al pensiero del prof. Sichera rende lucido lo scambio scientifico proposto dal dott. Pizzimenti. Prima d’iniziare una mia osservazione penso necessario chiarire che l’idea del approccio clinico e teorico di Mariano Pizzimenti emerge del pensiero di Isha Bloomberg, che come sappiamo non ha lasciato scritta la sua prospettiva teorica su questo controverso però necessario aspetto teorico. Sono convinto che tanto il bisogno di allargare il pensiero gestaltico sul campo inesplorato della clinica della sessualità come la certezza di trovare in questo scambio  scientifico una muova chiarezza, hanno spinto a Mariano a toccare terre inesplorate. La risposta del prof. Sichera ha una radice epistemologica profonda e fedele al nostro libro fondazionale. Prenderò i paragrafi più importanti per rispondere a questo ricchissimo contributo.

Chiaramente MP dilata il concetto di aggressività fin che può confondersi con l’idea di contatto come d’intenzionalità di contatto. Aggressività e eccitazione arrivano a sovrapporsi? Questo aspetto, però, merita una rilettura al momento di parlare di pulsione aggressiva, se pensiamo già non solo a GT, ma anche alle nuove teorie psico-biologiche che spiegano la tensione dell’organismo dal punto di vista neuro-chimico. In questa direzione troviamo nella metafora dell’”aggressività sessuale” una strada per spiegare la molteplicità di fenomeni che rendono possibile l’eccitazione dell’organismo quando si parla di fenomeno sessuale. Pensare l’aggressività sessuale come metafora anche col rischio di mancare alla fedeltà del nostro libro ci consente cercare una via del mezzo per spiegare aspetti inesplorati ancora e non presenti in GT.

Se ho capito bene il paragrafo dove AS commenta l’idea di “aggression” e non aggressività. Capisco che MP segue l’idea di possesso non come controllo o dominazione in termini linguisticamente assoluti, cosa che darebbe spazio all’idea di aggression, ma al concetto di complementarietà che emerge dal processo di seduzione e avvicinamento. La esplorazione aggressiva del campo sessuale comporta diverse novità che modificano il se individuale non sempre in modo arricchente. Su questo penso che l’idea di Perls-Goodman  quando parlano del “conquistatore” per differenziare violenza di aggressività, non mettono in considerazione aspetti psico-biologici  e ambientali come la  seduzione sociale, oggi non considerata una forma di patologia del contatto per la società. Questa forma di violenza del contatto sostenuto per la post modernità come norma e “normalità ” è diventata il modo per stabilire l’approccio sessuale.

Tornando al concetto teorico fedele alla epistemologia Gestaltica, fatta è pensata come forma sana della psicopatologia. Possiamo spiegare il rischio scelto da MP che affronta non solo la sessualità moderna, forse molto diversa da come viene pensata in GT, sennò come forma di affrontare una problematica più profonda di quanto pare nei tempi presenti. Problema linguistico? O modalità metaforica rischiosa però comprensibile in modo universale? Trovo il collegamento che AS fa tra il primo Husserl e l’idea d’intenzionalità di Goodman in GT, squisita e precisa. Solo che non penso che l’allargamento del concetto d’aggressività di Pizzimenti abbia come intenzione sbancare l’idea originaria d’intenzionalità presentata in GT. Mi piacerebbe entrare nella profonda discussione che riguarda all’idea di confine di contatto nel passato e nel presente così come in tanti aspetti a cui ho rinunciato per alleggerire il dialogo. Su tutte le cose che non sono stato profondamente chiaro sono disponibile per future risposte.

Mariano Pizzimenti a Sergio La Rosa

Caro Sergio, sto rispondendo anche ai tuoi commenti, con cui non mi trovo d’accordo, anche se mi hai fatto venire dei dubbi. Come ho scritto sopra, non sono d’accordo che sto estendendo il concetto di aggressività, al contrario, mi sembra di restringerlo rispetto all’uso che ne fanno Margherita e Giovanni. Se noi intendiamo l’aggressività solo come ad-gredere, allora, sì, ne estendiamo il significato. Se non accettiamo che nel concetto di aggressività c’è sempre un significato di distruttività o di annientamento, allora qualsiasi movimento diventa aggressività. Certo che anche la sessualità, come sostiene Giovanni, è allora un movimento aggressivo. Ma se, come fa il resto del mondo anche scientifico, al di fuori dei gestaltisti sembra, restituiamo all’aggressività il suo significato di distruttività, allora il campo si restringe e non vedo come possa sovrapporsi al concetto di eccitazione o di intenzionalità. Potrei fare semmai con il termine “sessualità”. Questa, sì, la considero nel suo significato etimologico. “Sesso” deriva da secare, cioè dividere. La sessualità parla dell’unione di ciò che è diviso. Per me la sessualità parla del nostro bisogno di appartenenza, di fusione, di contatto totale. In questo senso aggressività e sessualità sarebbero antitetici. La prima parla di distruggere (“des-structure”) e, quindi, scomporre nelle parti elementari componenti; la sessualità di fondere, di giungere ad un’unità superiore. Non ho mai considerato l’aggressività sessuale come una metafora, ma adesso mi fai venire dei dubbi. L’ho sempre considerata un’ipotesi di cosa può succedere se riusciamo a rendere aggressività e sessualità non più antitetici, legati in una relazione figura sfondo. E’ un’ipotesi di lavoro terapeutico, cioè una direzione, la descrizione sintetica di un’esperienza possibile ma per niente scontata. Non è un altro modo di definire il contatto, ma bensì un altro modo di sostenerlo. Non vedo neanche come possa essere considerata equivalente dell’intenzionalità, seppure di contatto. L’aggressività sessuale  può esprimere un’intenzionalità di collegamento che non faccia perdere l’individualità. Come tutte le forme di aggressività esprime un’intenzionalità, ma non è l’intenzionalità. Quindi, concludendo, proprio perché io preferisco usare i termini nei loro significati condivisi, è sul termine sessualità che ho qualche dubbio, perché la maggior parte del mondo lo fa equivalere a genitalità. Forse dovremmo trovare un altro termine. Amore potrebbe andare bene, ma mi sembra troppo abusato e poco corporeo. E poi preferisco termini evocativi che facciano discutere a termini “politicamente corretti” ma che non evocano niente. probabilmente “assertività amorosa” metterebbe tutti d’accordo, ma per me spinge verso una concezione idealistica delle relazioni e del contatto. “distruttività amorosa” mi sembra una presa in giro. “distruttività sessualizzata” troppo asettica. Se tu hai qualche proposta di termini sarò ben contento, purché renda l’ipotesi di intervento terapeutico che stiamo descrivendo e dalla cui pratica nasce questo tentativo di teorizzazione.

Note

[1] F. Perls (1995, ed. or. 1942), L’io, la fame e l’aggressività, Franco Angeli, Milano.

[2] K. Abraham (1985), Opere, Bollati Boringhieri, Torino.

[3] Anche I. From afferma: “Lo spostamento del rifiuto anale a quello orale” in I. From e M. V. Miller, Introduzione a: F. S. Perls – R. F. Hefferline – P. Goodman, La Terapia della Gestalt, Astrolabio, Roma 1997, 14; Per una analisi critica del tema cfr. G. Salonia (2011), L’errore di Perls. Intuizioni e fraintendimenti del postfreudismo gestaltico, in GTK Rivista di Psicoterapia, n. 2, pp. 49-66.

[4] G. Salonia (2014), Psicoterapia della Gestalt e teorie evolutive, in G. Francesetti, M. Gecele, J. Roubal (eds.), La psicoterapia della Gestalt nella pratica clinica, Franco Angeli, Milano, pp. 259-275.

[5] M. Mahler – F. Pine – A. Bergman, La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino 1978.

[6] G.Salonia, Eros e logos, in M.Pizizmenti, cit.,

[7] O. Rank (1976), Volontè et psychoterapie, Payot, Paris.

[8] G. Salonia (2012), Teoria del Sé e società liquida. Riscrivere la funzione-Personalità in Gestalt Therapy, in GTK Rivista di Psicoterapia, n. 3, pp. 33-62.

[9] G. Salonia (2013), Desiderio e bisogno, in Parola spirito e vita – Il desiderio, n. 67, pp. 243-255.

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