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Progetto connessi in classe

Progetto connessi in classe

Quella che segue è una sintesi di quanto io e la mia collega e compagna di corso Sara Gobessi abbiamo realizzato in un Istituto Tecnico Superiore di Udine tra il 2018 -19.

Allo scopo di fare esperienza come counselor avevamo offerto all’istituto uno sportello di ascolto gestito in via volontaria. Il servizio venne presentato nel novembre 2018 ai ragazzi con brevi interventi in tutte le classi. Successivamente, a seguito di alcuni episodi particolarmente gravi definiti dalla dirigente scolastica di “bullismo”, ci venne chiesto di fare degli interventi specifici nelle classi interessate.

Una premessa per inquadrare l’ambiente in cui ci siamo trovate a lavorare.
Si tratta di un Istituto Tecnico Professionale che ha varie specializzazioni: metalmeccanico, socio sanitario, tessile, odontotecnico. A seconda dell’indirizzo le classi possono essere composte solo da maschi o solo da femmine, molti studenti sono stranieri, alcuni non parlano l’italiano e vengono aiutati da altri compagni a tradurre dall’inglese. Spesso, fuori dal contesto scolastico, i ragazzi vivono situazioni difficili di cui siamo venute a conoscenza anche dai colloqui con il referente per la dispersione scolastica o dal coordinatore di classe.

I professori manifestano impotenza e frustrazione a lavorare in classi definite come difficili da gestire dove manca il rispetto delle regole base della convivenza, che richiedono molta energia e atteggiamenti autoritari.

I vissuti di cui gli studenti fanno maggiore esperienza sono caratterizzati da un senso di non sentirsi visti né ascoltati, come ci veniva riportato spesso anche nei colloqui individuali. Così anche la qualità delle relazioni ne è impoverita. Manca un alfabeto emotivo, i ragazzi sanno parlare molto poco di sé, non si guardano negli occhi, non riescono a riconoscere cosa provano e perché lo provano, né a dargli un nome. Cercano di muoversi su uno sfondo fatto di confusione e noia. Vivono la scuola e la classe più che altro come un ambiente ostile dove si vive male e si respira un’atmosfera tesa, dove si pensa per lo più solo a sé stessi o al massimo ci si può rifugiare in “mini” gruppi. Spesso si rimane da soli e ci si autoesclude per la difficoltà di incontrare qualcuno con cui legare e avere un po’ di fiducia.

 

Da qui l’idea di estendere gli interventi a tutte le classi creando un progetto che abbiamo chiamato “Connessi in classe “. La nostra intenzione come counselor è stata quella di creare un contesto di ascolto che potesse permettere la narrazione spontanea e offrire ai ragazzi uno spazio per essere più consapevoli sia del proprio sentire che delle modalità con cui entrano in relazione, fare esperienza di un modo diverso di stare insieme e sostenerli nella scoperta che il gruppo classe poteva essere una risorsa, un luogo di crescita.

Attraverso le esperienze abbiamo sostenuto i ragazzi a entrare in contatto con il loro sentire e a scoprire la possibilità di poter fare qualcosa di diverso che cambiasse dinamiche apparentemente impossibili da modificare.

 

Gli interventi hanno previsto tre incontri da due ore per classe condotti senza la presenza dell’insegnante e adottando una disposizione in cerchio accolta positivamente “così siamo tutti sullo stesso livello, ci vediamo tutti”.

 

Primo incontro: si apriva con (si sviluppava a partire da ) una breve presentazione del progetto, di noi stesse e dei ragazzi. Era rivolto principalmente alla conoscenza della classe attraverso l’osservazione delle dinamiche di gruppo e del modo dei singoli di entrare in contatto fra loro e con il gruppo classe ed alla raccolta dei bisogni.

La raccolta dei bisogni avveniva tramite la distribuzione di biglietti sui quali era chiesto ai ragazzi di rispondere per iscritto anonimamente ad alcune domande quali, ad esempio:

  • cosa mi piace di questa classe
  • cosa non mi piace
  • di cosa ho bisogno per stare bene / cosa faccio o potrei fare per stare bene

Il bigliettino anonimo ha reso più semplice esprimere quello che poteva essere faticoso dire apertamente. In generale c’era molto imbarazzo e forse un po’ di sospetto nei nostri confronti: Siete qui per osservarci?” 

I bigliettini venivano poi letti davanti a tutti. La successiva lettura si è rivelata molto utile in alcuni casi perchéabbiamo notato che aumentava la consapevolezza sul “sentire” dei compagni e su come vivevano il gruppo classe. Molto spesso infatti il disagio non veniva espresso e molti aspetti venivano taciuti. “In classe si sta meglio. Dai biglietti abbiamo capito che il clima non era buono, ci siamo parlate con sincerità e così abbiamo chiarito. Ora le cose sono migliorate”

Per noi invece è stato un modo di avere uno spunto in più da cui partire per impostare gli incontri successivi anche se poi in realtà siamo state molto sul “qui e ora”.

Qualche esempio di bisogni raccolti:

Ho bisogno di qualcuno che mi possa aiutare a non essere timida e poter dire tutto quello che non riesco a dire

Avrei bisogno che le mie compagne di classe non stiano sempre a gruppetti siamo una classe e che prima di parlare male azionino la testa anche una piccola parola può colpire e affondarti

Per stare meglio avrei bisogno di una classe più unita

Per stare meglio secondo me dovremmo imparare a stare insieme e conoscerci di più

Secondo me per stare meglio bisogna dire le cose in faccia quello che si pensa di un’altra persona perché in fondo dobbiamo stare ancora 4 anni assieme

Per stare meglio ho bisogno di andare d’accordo e conoscere meglio la classe e che ci sia collaborazione da parte di tutti

Avrei bisogno di aprirmi e parlare con tutti

Forse ci sarebbe bisogno di non aggredirsi quando qualcuno sbaglia

Avrei bisogno che non fossero quasi tutte delle vipere e che capissero che non si tratta solo di una persona ma di una classe intera

Esempio di un intervento dopo la lettura dei bisogni:

(per uniformità sceglierei un solo tempo verbale, passato come sopra o presente come di seguito)

C’è una ragazza che non ha scritto niente sul suo bigliettino. N.  non parla l’italiano e viene dal Pakistan porta vestiti indiani sopra i jeans e il velo in testa da cui spuntano bellissimi capelli neri. Fa un po’ di difficoltà anche se si vede che ha voglia di esserci e di sentirsi accettata. Insieme alle compagne la sosteniamo a superare l’imbarazzo e a provare a dire alle altre come sta in classe. In inglese ci dice “mi piace questa classe mi aiutano. Nel mio paese ci sono usanze diverse è tutto diverso. A volta ho paura di fare delle cose di sbagliare.”  Avrei bisogno di parlare meglio l’italiano per capire quello che viene detto e avrei bisogno che loro mi capissero”.

Per N. la possibilità di portare i suoi bisogni e il suo sentire è stato molto importante. Anche per le compagne è stato importante che sia riuscita a dirlo a loro direttamente e a uscire dall’isolamento in cui si rifugiava.

Prendendo spunto da quanto emerso coinvolgiamo le ragazze in un’altra esperienza sulla fiducia.

VENTO TRA I SALICI

Descrizione: Ci si dispone in circolo, una volontaria si posizione al centro. Chiudendo gli occhi, la persona al centro (il salice) si lascia andare mantenendo il corpo rigido. Le partecipanti intorno a lei la sostengono ed evitano che cada (tenendo le braccia tese davanti al corpo e una gamba più avanti dell’altra leggermente piegata).  Inizialmente è necessario che il gruppo tenga le mani al centro in maniera tale che la volontaria si senta protetta e sicura. Man mano che la fiducia aumenta le partecipanti possono allontanarsi leggermente dal centro.  A turno tutte hanno fatto “il salice”.

Ritorniamo quindi in cerchio e passiamo ai feedback sul “come” le ragazze si sono sentite. Per ognuna è stato diverso, c’è chi aveva paura e chi si è fidato di più. L’esperienza diventa occasione anche per chiedere cosa significa per ciascuna di loro avere fiducia.

A un certo punto G. sbotta: “sono tutti falsi, non hanno il coraggio di dirti le cose in faccia io non ho paura di dire quello che penso”

Le chiedo se è un suo bisogno sapere quello che gli altri pensano di lei. Mi risponde di sì, la invito a provare a chiedere alle compagne. Si fa un giro di risposte. Le viene restituito tra le altre cose che non tutti sono capaci di essere diretti come lei quando vogliono dire una cosa, ma questo non vuol dire essere falsi, che siamo diversi nel modo di entrare in relazione e che per qualcuno non è così semplice esprimersi.

Quanto viene riportato dalle compagne stimola un confronto tra G e un’altra compagna, K.

rivolgendosi a K con un tono di voce alto: “lei mi guarda sempre, non ha il coraggio di dirmi che vorrebbe essermi amica l’ho capito non ce la fa a dirmi cosa vuole” se io accetto lei (K.) lei deve accettare me

K si emoziona incomincia a piangere ma non riesce a parlare Sara la sostiene.  G si avvicina a lei e le parla con un tono di voce più morbido e le ripete quanto aveva detto prima a voce alta.

K piangendo: “Vorrei trovare un’amica a cui poter dire le cose sono sensibile mio fratello è in carcere”. Le ragazze si abbracciano

Secondo e terzo incontro dedicati principalmente all’esplorazione dei bisogni emersi nel primo incontro attraverso esperienze (di gruppo o a coppie) seguite dai feedback compresa la messa in scena dei conflitti. A seconda dei casi le esperienze erano dirette a una maggiore conoscenza attraverso l’ascolto dell’altro o a sviluppare più comprensione, fiducia e accettazione per il diverso da me, o ancora a stimolare il rispetto e la collaborazione nel gruppo.

Essendo classi prime il lavoro fatto (proposto) è stato principalmente diretto a “fare gruppo” tenendo presenti i concetti di figura-sfondo della Gestalt applicati al lavoro di gruppo. Ogni alunno è dentro un gruppo (la sua classe) e, anche se non vuole farne parte, lo influenza e ne viene influenzato. Così come la classe, come gruppo, influenza i singoli. Il gruppo “classe” è una dimensione a sé, diversa dalla somma dei singoli alunni che la compongono e segue dinamiche e regole proprie. Individuo e gruppo possono essere pensati come figura/sfondo, l’uno influenza l’altro e viceversa. Lavorare con i gruppi classe comporta un’attenzione sia alla dimensione gruppale come sfondo e identità a sé stante che a quella individuale come figura che emerge dallo sfondo, o per meglio dire al confine di contatto tra le due. Nella classe ogni ragazzo ha una percezione degli scambi all’interno del gruppo ed è proprio sullo sfondo di questa percezione che ciascuno componente del gruppo crea il proprio modo di “essere con” nel gruppo.

 

A conclusione degli interventi i ragazzi hanno compilato un questionario di gradimento diviso in due parti. La prima parte della scheda chiedeva di rispondere su Come ti è sembrato lavorare in cerchio, confrontandoti con compagni e i counselor
Le variabili possibili da segnare con una crocetta potevano essere: Spiacevole – Piacevole, Una perdita di tempo – Utile per conoscerci, Il clima di classe era freddo, – Il clima era di partecipazione, C’è stato un confronto sincero – Da non ripetere più – Da ripetere in futuro, Avevo timore del giudizio dei compagni – Mi sentivo liberoa di esprimermi – Rispettatoa dagli operatori – Annoiato Coinvoltoa

Riguardo a questa prima parte del questionario risulta che la stragrande maggioranza ha apprezzato questo tipo di intervento, lo ha considerato utile e da ripetere in futuro.
I ragazzi si sono sentiti coinvolti, liberi di esprimersi e rispettati dai counselor.

La seconda parte del questionario proponeva domande a risposta aperta su:

  • Ciò che più mi ha colpito è…
  • Ho riflettuto sul fatto che
  • Avrei voluto approfondire

 

Di seguito alcune delle risposte dei ragazzi alla domanda ciò che mi ha colpito è….

Che la classe è cambiata

La sincerità che c’è stata

Il fatto di poter aprirsi di più e conoscere meglio i miei compagni

La possibilità di conoscerci meglio e guardarci in faccia

È stato quando abbiamo parlato dei nostri sogni

Il fatto che la classe si è integrata molto ed era molto attenta e coinvolta

Quando ho pianto mi sono sentita libera di poter dire quello che provavo di sfogarmi

Le risposte delle mie compagne

Il fatto che come classe siamo riusciti a tirare fuori i disagi e provare a migliorare

La chiarezza e l’unione della classe alla fine del progetto

All’inizio il clima non era dei migliori e mi ha colpito il fatto che l’intervento abbia cambiato qualcosa

Come è migliorato il clima in classe

Non aver paura del fatto di essere giudicata e di essere me stessa

Tutto

molte persone si sentivano bloccate ma poi si sono sciolte

Bisogna conoscere le persone e ogni tanto mettere da parte i pregiudizi

se c’è bisogno ci si può sempre parlare o risolvere la questione o quello che si ha

all’inizio nessuno si fidava di nessuno adesso le cose sono migliorate

siamo una classe e dobbiamo conoscerci tutti e anche se si crede di conoscere una persona si dovrebbe continuare a conoscerla perché ho capito che non lo facciamo abbastanza

conoscerci meglio sia servito per quanto all’inizio ne dubitavo ma questo dubbio con il passare degli incontri si è dissolto

ho una classe bella

Ora è meglio

 

Nel progetto avevamo chiesto di coinvolgere i coordinatori delle varie classi, anche se con ruoli diversi, per poterci prendere cura dei ragazzi in modo trasversale ma questa forma di sostegno è mancata, così come è mancata da parte della scuola la copertura finanziaria. Nonostante ciò abbiamo portato avanti il progetto ugualmente, ma solo nelle classi prime. In totale abbiamo visto nove classi per un totale di 59 ore. Il percorso è stato impegnativo e bellissimo. Sono grata a questi ragazzi perché hanno dato a me e Sara la possibilità di fare un percorso di formazione, di crescere come counselor, di sperimentarci nella co-conduzione, di creare un’alleanza. È stata un’esperienza con la E maiuscola.

Nel novembre di quest’anno siamo tornate in questa scuola e a noi si è unita Francesca Musoni, anche lei counselor. Questa volta, grazie all’associazione “In famiglia”, abbiamo dei fondi a disposizione per poter lavorare.

Per ultimo ci tengo molto a porre l’accento sul fatto che questo progetto è stato portato avanti da dei counselor. All’inizio non sapevamo cosa avremmo fatto esattamente e certo sapevamo anche di poter correre dei rischi, non avevamo l’esperienza.  Quando gli studenti ci chiedevano chi eravamo, chiarivamo sempre il nostro ruolo perché la figura del counselor non è molto conosciuta e c’era la possibilità di essere scambiati per varie figure: psicologi, educatori, insegnanti, specialisti in bullismo etc. Credo che adesso per i ragazzi che abbiamo incontrato sia più chiaro cosa può fare per loro un counselor e ce n’é tanto bisogno.

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