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Vuoto di senso o senso di vuoto?

Vuoto di senso o senso di vuoto?
Carmela Festa

Carmela Festa, con leggerezza e profondità ci fa navigare sul mare delle incertezze di oggi, attraverso le sue riflessioni poetiche, introspettive, dirette e le delicate, lancinanti, a volte effimere esperienze descritte dalla sensibilità creativa di Brunori Sas, cantore di senso e di un’epoca, nella canzone Kurt CobainCarmela la osserva e la rielabora con una sua teoria (dal greco: theoria parola composta da thea spettacolo (da cui anche “teatro”) e horan osservare: nei due sensi, corteo appariscente e angolo di osservazione) personale e piena di senso. Con le sue parole mi ha riportato in un altro tempo dove, nei miei scaffali, vuoto di senso corrisponde a Battiato, con Zai Saman, narrazione di una vita ordinata e contadina: E di domenica tutto si fa quieto /usciamo insieme come una volta a fare visita ai parenti/ “guarda com’è diventato grande!”/ Ho visto gente curva sopra i campi/ mietere il grano/ famiglie intere unirsi i giorni di vendemmia/ per la raccolta delle olive/. Un quadretto sconvolto solo dalle emozioni del fluidificatore massimo, Eros: E una domenica ti incontrai per caso/ e mi scoppiò un indescrivibile piacere di conoscerti/ guarda cos’è il Destino!/. Sembra un meccanismo destinato al moto perpetuo, tra regolarità e picchi di contatto con qualcosa di indescrivibilmente straordinario. Ma poi Battiato cambia registro, senza nessun preavviso la scena, come nelle consuetudini dei sogni, devia inspiegabilmente: Vuoto di senso crolla l’Occidente /soffocherà per ingordigia /e assurda sete di potere/e dall’Oriente orde di fanatici/, quasi premonizione dei tempi, predizione politica sulle ceneri di un modo scomparso. Mi piace confondere le acque e unire queste due canzoni, agitando i due apparenti opposti: la rigidità e profondità della storia descritta da Battiato, con la successiva epocale perdita di tutti i riferimenti, descritta da Brunori Sas, disperata ricerca, anche autodistruttiva, di un senso oltre l’immagine vuota, piedistallo dal quale inevitabile è cadere. E dentro questa miscellanea, al di là di tutte le riflessioni su profondità e superficie, sono ancora e sempre i sentimenti, leggeri o grevi che siano, a scolpire le nostre vite. Un’improvvisa irruzione di Eros, che riaccende e illumina di presenza la vita e, se va bene, ci salva. Come succede quando ritorniamo a percepire il mondo e il contatto con gli altri, assaporandolo lentamente, come piacere e bellezza. Carmela ci offre una pagina di profonda e umana teoria poetica, andirivieni di senso nelle montagne russe dell’anima.

 

 

 

Il venerdì è il giorno in cui scocca l’incantesimo.

Nel momento in cui tutti si salutano allegramente con le formule da fine settimana, ecco che sulla donna piomba un’ombra, qualcosa di indefinito e indefinibile.

Lei lo chiama “vuoto di senso”, ma credo possa chiamarsi in molti modi.

Un giorno trova il coraggio di confidare a un amico, “sai al venerdì mi prende il vuoto di senso” lui ribatte prontamente “forse volevi dire senso di vuoto?” e lei “No. Volevo dire VUOTO DI SENSO, ma non saprei spiegarti la differenza tra il vuoto di senso e il senso di vuoto, o forse si ma non mi va, oggi è venerdì e al venerdì mi manca l’aria”.

 

Cos’è il vuoto di senso?

 

Credo sia figlio di una certa inquietudine esistenziale.

Chi sente il vuoto di senso in realtà non sente granché, oppure sente tutto il dolore dell’universo.

Fa i conti con l’apatia, la tristezza, la fatica di andare, l’incapacità di trovare bellezza e grazia in sé stesso e nel proprio cammino.

Il vuoto di senso genera sofferenza, talvolta mascherata da inquietudine, e per questo da esso si tende a fuggire.

 

Cerchi ogni genere di distrazione come possibile soluzione, ma lui, si ripresenta. Fedele, silenzioso, mutabile in ampiezza e profondità, anche quando non è venerdì, anche quando non gli daresti il permesso di entrare perché sei in vacanza o magari oberato di impegni.

Provi a fuggire il più lontano possibile, arrivi persino in quella piazza dove tutti indossano la versione Alfa di sé. Per un po’ pensi che quei pollici in su possano esorcizzare il vuoto, che in quel girone vi possa essere la soluzione. Ma poi i display e i monitor si spengono e il senso di vuoto si accende, con il suo buio accecante e il suo silenzio assordante.

 

E così cominci a sentirti  come quella ” farfalla con un’ala di seta e una di piombo che tenta in tutti i modi di volare e invece non fa altro che sbattere di qua e di là”.

E fa male.

Poi guardi con un misto d’invidia e rassegnazione alle altre farfalle, quelle  che si librano leggere nell’aria, belle, fortunate e nel loro volo aggraziate.

 

Finché bel giorno arriva la canzone che ascolti e riascolti, quella che dentro forse ci trovi la soluzione, o solo un pezzo di soluzione, il famoso aiutino, come nei quiz, perché il resto lo devi fare tu.

La canzone comincia con un accordo stonato, come alcuni nostri affondi, e fa così:

 

https://www.youtube.com/watch?v=GDB2GIi_Yzw

 

“vivere come volare ci si può riuscire soltanto posando su cose leggere”

“vivere come nuotare, ci si può riuscire soltanto restando sul pelo del mare”

“vivere come sognare, ci si può riuscire spegnendo  la luce e tornando a dormire”

 

Posarsi sulla leggerezza-restare in superficie-spegnere la luce.

 

Ma è proprio così?

E’ questa una soluzione o una resa?

 

Per timore/dolore d’essere devo forse tornare alla monotonia di esistere?

Ma Io volevo andare a fondo di chi sono.

E Io volevo scavare con ruspa e mani nude dentro il mio passato per  trovare la causa di tutto questo dolore;

Io invece volevo finalmente annientare il mostro crudele che mi abita dentro e si nutre di respiri immobilizzando i corpi.

 

E poi ancora lui canta che

“Il senso profondo di tutte le cose lo puoi ritrovare soltanto guardandoti in fondo”

 

Ma come è possibile  guardarsi in fondo posando su cose leggere, restando in superficie e spegnendo la luce?

Come potrò mai guardarmi dentro in questo modo?

 

La domanda cade nel vuoto (di senso), e quando pensi sia perduta ecco che rimbalza su un filo di Luce teso nell’abisso, rimasto lì impigliato da un tempo antichissimo.

Rimbalza la domanda, e chissà in quanti luoghi echeggia, perché ad un certo punto cominciano ad arrivare le risposte, da più parti.

La prima che sento è quella di una voce bambina, viene a ricordarmi le parole che avevo letto ne Il  Piccolo Principe, “l’Essenziale è invisibile agli occhi”, e dunque forse posso provare a non cercare di vedere a tutti e costi, e sentire cosa accade ora e qui.

 

E’ dunque possibile scoprire il senso profondo di tutte le cose, posando sulla leggerezza e restando in superficie?

La profondità della superficie in Gestalt significa questo?

 

Non so.

Forse è possibile imparando dai bambini, che hanno ancora impigliato sul volto un frammento di sorriso con cui li rivestirono gli angeli.

E’ possibile, scegliendo di abitare un tempo senza passato e senza futuro, un tempo creativo e potente, un tempo giocoso e gioioso.

Forse è possibile, coltivando semi di consapevolezza. Riconoscendo in sé i segni di un passato che non è più realtà, assumendosi la responsabilità di accogliere, curare e trasformare quei segni in opera d’arte.

 

E allora sì.

Il senso profondo di tutte le cose lo puoi ritrovare soltanto guardandoti in fondo,

che in fondo è guardarsi nell’altro,

è toccare e carezzare le foglie di quell’albero che vedi tutte le mattine mentre vai in ufficio,

scambiare due parole con il mercante di fiori che a volte forse si sente solo proprio come te,

sorridere al vecchietto che incontri sul ponte alla solita ora. Sentire che tutto questo è presenza.

E’ la bellezza di un universo ferito, ma vivo.

E’ la tua bellezza.

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